Corriere 31.5.16
L’amarezza di Bersani: non temo i toni arroganti. Molti i militanti con me
«C’è il rischio di una drammatica lacerazione. Basta provocazioni»
di Monica Guerzoni
Roma Da settimane Pier Luigi Bersani attraversa l’Italia per sostenere i candidati sindaci della «ditta». È stato a Milano invitato da Beppe Sala, a Bologna per Virginio Merola e poi a Novara, in Veneto, a Ravenna. E domani sarà al fianco di Roberto Giachetti nella periferia romana di Primavalle. Una presenza che spiazzerà molti renziani, visto che alle primarie Bersani aveva sostenuto Roberto Morassut.
«Noi chiediamo il voto per il Pd in nome dell’unità e dell’identità del centrosinistra, quindi in nome dell’Ulivo» è il ragionamento che il leader della sinistra propone agli elettori. Per convincerli a scegliere i candidati del Nazareno, invece di rifugiarsi nell’astensione o affidarsi ai Cinquestelle: «Io sostengo il Pd, con le mie idee».
Pensieri e parole con cui Bersani spera di scongiurare una «drammatica lacerazione nel campo democratico» e che invece i renziani, lamenta, leggono come una sfida, la prova di un partito nel partito: da una parte coloro che sostengono il premier (e vogliono bene all’Italia), dall’altra quelli che lavorano per ribaltare Renzi.
L’ex segretario non ci sta. È amareggiato, preoccupato per gli attacchi continui, per l’accusa che sia la sinistra ad alimentare tensioni e cercare fratture. Vorrebbe gridare tutta la sua rabbia, ma si morde la lingua perché domenica prossima si vota e il risultato è incerto. Un concetto però lo scandisce con forza, perché arrivi all’indirizzo di Palazzo Chigi: «Noi non accettiamo provocazioni e non ci intimoriamo per i toni arroganti e volutamente divisivi».
È la risposta alle ultime dichiarazioni del segretario del Pd e all’intervista di Franceschini che, su Repubblica, ha accusato la minoranza di usare il referendum per ribaltare il tavolo di una riforma «sognata da trent’anni», col preciso obiettivo di spedire a casa Renzi.
Certo Bersani non si aspettava da lui un grazie e una pacca sulla spalla, per aver fatto campagna «più di ogni altro» e aver raccolto, come ha raccontato con una punta di orgoglio ai collaboratori, moltissimi applausi: «Segno che tanti militanti percepiscono il disagio e che i miei argomenti convincono buona parte del Pd». Non si aspettava un grazie, dunque, ma nemmeno l’accusa di remare contro il suo partito, proprio quando lavora per ricucire gli strappi e arginare la fuga di tanti elettori.
«Sono io quello che fa polemica? — è la domanda retorica che ha consegnato all’Unità —. Quando c’è polemica nel Pd non sarà che c’è un gruppo dirigente che se la prende con un pezzo del Pd? Chi dirige deve tenere assieme, non deve dividere». La linea è moderare i toni, non rilanciare i sospetti di Gianni Cuperlo sul presunto piano di Renzi per cacciare la sinistra dal Pd, ma non arretrare di un millimetro sul merito delle questioni.
L’Italicum? «Inaccettabile», perché toglie agli italiani lo scettro delle decisioni. La legge elettorale per il Senato? Vannino Chiti ricorda a Renzi che «pacta sunt servanda» e Bersani, consapevole che si potrà approvare solo dopo il referendum, continua a chiedere che venga presentata prima. «Se lasciamo il dubbio che anche i senatori saranno nominati — è il suo mantra — rischiamo di aggravare ancora la spaccatura fra il Sì e il No. Non si può tradire l’accordo in base al quale la minoranza ha votato la riforma in Parlamento».
Ai dirigenti della sinistra dem l’ex segretario ha chiesto di mantenere la calma e di non rispondere agli attacchi, tanto che Roberto Speranza segue alla lettera lo schema. «Fino ai ballottaggi esiste solo l’impegno per far vincere il Pd — modera i toni lo sfidante di Renzi — . I nodi politici sono tanti e molto seri, ma ne discuteremo solo dopo le Amministrative». E anche Renzi, da Torino, getta acqua sull’incendio ricordando che il suo è «l’unico partito in Italia che non butta fuori quelli che non la pensano come loro».
La resa dei conti dunque è rimandata, ma ormai è chiaro che subito dopo i ballottaggi si aprirà il congresso. Matteo Orfini ha fiutato il rischio che le lacerazioni di questi giorni si ripercuotano sulle elezioni Amministrative, indebolendo i candidati del Pd. Anche per questo, da presidente di un partito spaccato come una mela, lancia ancora un monito ai dem perché accolgano gli appelli a una moratoria delle polemiche: «Devono calmarsi tutti, basta litigare in campagna elettorale». E, se Renzi non lo fa, lui ringrazia Bersani, perché «verrà a Roma a dare una mano a Roberto Giachetti».