Corriere 31.5.16
Paura, indifferenza lo sguardo altrove
Dal musicista morto in funicolare a Napoli alla mattanza di Kabobo, fino a Sara
La frase della magistrata ci interroga tutti: perché non facciamo quella telefonata?
di Paolo Di Stefano
Siccome la questione è spinosa ed è facile essere fraintesi, vale la pena chiarirlo subito: non è necessario fare gli eroi. Si ricorderà l’ammissione di don Abbondio di fronte al cardinale Federigo che gli rimproverava di non aver celebrato il matrimonio di Renzo e Lucia: «Il coraggio, uno non se lo può dare», disse il curato. Su quella frase si discute da un paio di secoli. Come chiamarla: viltà, realismo, debolezza, egoismo, consapevolezza delle proprie forze, opportunismo? «Neutralità disarmata», la definisce Manzoni: «Neutralità disarmata in tutte le guerre che scoppiavano intorno a lui».
Immaginate di trovarvi in auto di notte, in una strada della Magliana. Immaginate di scorgere, passando in auto, una donna che viene aggredita da un tizio e che si agita chiedendovi aiuto. Che fate? Raccogliete tutto il coraggio che avete (o che non avete), frenate, aprite la portiera, scendete e cercate di intervenire per mettere in fuga l’aggressore? Magari un energumeno impazzito dalla rabbia, dalla furia o da chissà che cosa? Oppure fate finta di nulla, cercate di non girare neanche lo sguardo per evitare ogni coinvolgimento pericoloso? Sara Di Pietrantonio sperava che uno dei due motociclisti che sfrecciavano dalle sue parti nel momento cruciale, cioè poco prima di essere bruciata viva dall’ex fidanzato, avesse la prontezza di scendere e così, forse, di salvarle la vita. Non è accaduto. I passanti hanno tirato dritto. Poi, quando sono venuti a conoscenza del fattaccio, si sono presentati dai carabinieri: non avevano capito la gravità dell’evento, l’urgenza di quel grido, la disperazione della donna. Il procuratore aggiunto di Roma, Maria Monteleone, ieri mattina, ha lanciato l’appello: «Se vedete una ragazza di notte in una strada isolata che chiede aiuto, fermatevi o chiamate la polizia, se lo avesse fatto chi ha visto Sara, oggi lei sarebbe viva».
Se, appunto. Ora, la domanda che ci si pone, di solito, di fronte a una vicenda del genere, è: che cosa avresti fatto tu nei panni di quei motociclisti? Mica facile rispondere. Ogni volta la stessa domanda. È successo a Napoli la sera del 26 maggio 2009, quando un giovane rumeno, Petru Birladeanu, in compagnia di sua moglie venne colpito per sbaglio in una sparatoria di faide criminose, si trascinò nell’atrio della funicolare, si accasciò, la gente gli passò intorno, lo evitò continuando a parlare al cellulare, mentre la donna implorava un soccorso e Petru morì nell’indifferenza. È successo l’8 ottobre 2010, quando un’infermiera rumena, per una banale lite alla biglietteria del metrò di Roma, ricevette un pugno da un ventenne, cadde a terra e finì in coma. Un filmato, diffuso in tv e sul web, riprese alcune persone che passavano indifferenti, durante e dopo: come se nulla fosse, aggiravano il corpo della sconosciuta disteso per terra, correvano via e bisognò aspettare un bel po’ perché qualcuno si chinasse su di lei. È successo l’11 maggio 2013, quando il trentunenne ghanese Adam Kabobo uccise a picconate tre passanti in zona Niguarda, a Milano, percorrendo indisturbato centinaia di metri: il tutto avvenne dopo varie lievi aggressioni non denunciate dalle vittime. Nessuno dei cinque aggrediti, una volta scampato il pericolo, si preoccupò di avvisare i carabinieri o la polizia. Ma è accaduto anche di peggio in altre circostanze, per nulla pericolose: il 14 febbraio 2010 un ragazzo di 29 anni, Sahid Belamel, morì congelato dopo ore di agonia, in seguito a una congestione per eccesso di alcol, davanti a una discoteca della periferia di Ferrara. Una telecamera di sicurezza filmò la scena: il giovane urlava chiedendo aiuto, mezzo nudo, con le mani attaccate all’inferriata di un cancello, poi riprese a camminare a fatica, si sbracciava barcollando tra le auto che rallentavano giusto il tempo di dare un’occhiata per curiosità e tirare dritto. Omissione di soccorso? Come quella degli amici che l’hanno abbandonato in quello stato, come quella del tassista che non volle caricarlo sulla sua auto, come quella dei servizi di sorveglianza del locale.
Indifferenza? Sono casi diversi. Spesso di indifferenza, spesso di paura. Nel caso della Magliana, a quanto pare, un caso di probabile incomprensione, fatale per la povera Sara. Ma tra la paura (comprensibile) e l’indifferenza (inaccettabile) c’è la coscienza, umana e civile, il senso di responsabilità. Tanto più — per riportarci «banalmente» ai casi di Roma, Napoli, Ferrara, Milano — se pensiamo che, dotatissimi di strumenti di comunicazione immediata, siamo pronti a usarli mentre ci troviamo in coda al semaforo e persino mentre guidiamo in autostrada, mettendo a rischio la nostra vita e quella degli altri. La domanda è: com’è possibile che facciamo tanta fatica a sfruttarli (immediatamente) anche come mezzi di aiuto e di soccorso, pur non rischiando nulla? E basti essere sfiorati da un «chi te lo fa fare» per girare lo sguardo altrove e dimenticarsene (magari per correre il giorno dopo dai carabinieri)? Tra l’indifferenza e l’eroismo ci sono innumerevoli sfumature. Sarebbe non eroico ma certo audace tentare, nottetempo in un luogo isolato, di mettere in fuga un aggressore. In altre condizioni, sarebbe normale. Non sarebbe certo un atto di eroismo chiamare subito (sottolineato) la polizia o chinarsi su un morente. Se il coraggio uno non se lo può dare, le virtù civili, ovvero le buone abitudini di cittadini responsabili, si possono coltivare e apprendere.