giovedì 30 giugno 2016

Corriere 30.6.16
Il solco profondo sull’Europa tra le élite e il mondo reale
di Ernesto Galli della Loggia

Per antica consuetudine gli intellettuali europei — specie quelli di sinistra, da settant’anni in strabocchevole maggioranza — sono molto bravi nel trovare i termini appropriati per designare le cose che non piacciono usando il marchio dell’infamia ideologica. Questa volta è stato Bernard-Henri Lévy che non si è lasciato scappare l’occasione fornitagli dalla vittoria inglese della Brexit. I cui fautori, ai suoi occhi, non sono altro che «populisti», «demagoghi», «ignoranti», «cretini», seguaci più o meno inconsapevoli di tutto ciò che c’è di peggio al mondo.
Da Le Pen a Putin a Trump, «nuovi reazionari», «incompetenti», «volgari» «sovranisti ammuffiti» (termini testuali che traggo da un articolo del nostro sul Corriere di lunedì scorso).
Mi chiedo come sia possibile, con tutto quello che sta succedendo, non rendersi conto che proprio pensando, dicendo e scrivendo da anni, a proposito di parti sempre crescenti delle opinioni pubbliche del continente cose come quelle scritte da Lévy, non rendersi conto, dicevo, che proprio in questo modo le élite intellettuali (e politiche) europee sono riuscite a scavare tra sé e le opinioni pubbliche di cui sopra un solco profondo di avversione e di disprezzo. A rendersi insopportabili con la loro sicumera e la loro superficialità.
Prendiamo una delle accuse più ripetute, quella di «sovranismo». Che cosa vuole dire? Chi la muove ne dà regolarmente un’interpretazione che più negativa, anzi odiosa, non si potrebbe. Sovranista, secondo questa accusa, vorrebbe dire che vogliamo e dobbiamo contare solo «noi», che conta solo quello che ci fa comodo, che nessuno deve venire a disturbare la nostra vita quotidiana, le nostre abitudini perché tutto ciò che non ne fa parte ci mette paura e lo sentiamo come una minaccia alla nostra tranquillità. Insomma qualcosa a metà tra un «borghese piccolo piccolo» e uno xenofobo, tra Alberto Sordi e Himmler.
Ma dentro il termine sovranismo non è forse contenuto il concetto di sovranità, quella cosa che il primo articolo della Costituzione (certo della «nostra» Costituzione, quella italiana, ma a quale altra dovremmo fare riferimento?, è forse indice di «nazionalismo» riferirsi ad essa?) «appartiene al popolo»? Dunque è al «popolo» o no, è agli elettori o no che spetta l’ultima parola sulle cose importanti che li riguardano? e ai primissimi posti tra questi non c’è forse la costruzione europea? E se questa con i trattati di Maastricht , di Lisbona e con la moneta unica, ha previsto la cessione proprio di parti rilevantissime della sovranità, è davvero così assurdo pensare che il popolo avrebbe dovuto, o debba, dire la sua? E perché mai, poi, se la richiesta di un referendum su un simile argomento la propone David Cameron — così com’ è effettivamente accaduto, ma come troppo facilmente ci si dimentica — allora tanti come Bernard-Henri Lévy non trovano nulla da ridire e osservano il più scrupoloso silenzio, ma se invece il medesimo referendum lo chiede un partito che a loro dispiace allora apriti cielo, è il populismo che stende i suoi tentacoli, la demagogia che vuole sostituirsi alla democrazia?
Quello di Lévy è solo un esempio tra i moltissimi. In tutti gli anni trascorsi, infatti, troppa parte dell’intellettualità europea, e proprio quella più autorevole o legittimata — a cominciare dal giornalismo e dall’intellettualità economico-giuridica, in mille modi legata a filo doppio al potere politico-statale e alle «occasioni» offerte da Bruxelles — ha chiuso gli occhi o ha troppo debolmente eccepito sulle incongruenze o sulle vere e proprie forzature che hanno caratterizzato il cammino dell’Ue. Ha fatto proprio con troppa docilità il politicamente corretto che faceva tutt’uno con l’europeismo ufficiale, spesso, tra l’altro, largamente foraggiato dalla stessa Bruxelles.
È accaduto precisamente così che l’ insoddisfazione che andava crescendo nell’opinione pubblica di molti Paesi del continente, vedendosi impossibilitata ad accedere al circuito della discussione pubblica qualificata e ostracizzata dai media ufficiali, vedendosi regolarmente ridicolizzata e pubblicamente apostrofata con i peggiori epiteti, sia andata sempre più radicalizzandosi, sempre più caricandosi di astio , diciamolo pure, spesso sempre più incarognendosi, dando vita alla difficilissima situazione attuale. Con l’Unione a pezzi, i sistemi politici di mezza Europa alle corde, le loro élite boccheggianti e delegittimate. Non c’è che dire: gli aedi della democrazia possono essere soddisfatti.