Corriere 25.6.16
I calcoli del leader
Far slittare il voto sulle riforme per mettere prima in sicurezza la legge di Stabilità
di Francesco Verderami
Il
potere non serve più. Più della lezione impartita a Cameron sull’uso
delle istituzioni per tornaconto personale, il referendum britannico
insegna alla politica italiana che il potere logora rapidamente chi lo
detiene dopo averlo combattuto, perché rapidamente cambia la prospettiva
e si viene visti come un nuovo potere da abbattere. Chissà se le forze
di opposizione hanno avuto il tempo di ragionare sulla morale della
storia, concentrate come sono a sfruttare la Brexit per arrivare alla
Renxit. È certo che il premier — per quanto tenti di evitare il contagio
politico del big bang europeo — ha contezza del rischio che corre in
vista del referendum costituzionale. Sta tutto in un passaggio
dell’intervista all’ Huffington di Enrico Letta, secondo cui il voto in
Gran Bretagna è stato «essenzialmente politico». Un modo per far capire
quale potrebbe essere in Italia la reazione degli elettori all’atto
della consultazione popolare: una reazione che potrebbe travalicare il
merito della riforma.
Da un referendum all’altro, da Londra a
Roma, è rispetto al tema domestico che si stanno posizionando i partiti,
nonostante parlino di Europa e si dividano anche al loro interno.
Persino tra le forze che vorrebbero abbattere la Bastiglia di Bruxelles
non c’è unità di vedute. Da un paio di giorni i Cinque Stelle surfano
l’onda anti-europeista sperando di restare sulla cresta e di non venirne
travolti. L’altro ieri — ipotizzando la vittoria del «Remain» — il blog
di Grillo era stato sbianchettato per evitare che il Movimento si
mostrasse troppo vicino alle posizioni del populista inglese Farage,
pronosticato da sconfitto. Ieri, dopo il successo del «Leave», lo stesso
Grillo e Di Battista hanno salutato il referendum come «la voce del
popolo» per proporsi accanto al vincitore.
Popolo e populismo sono
il bacino elettorale dei Renxisti, la stessa area di Salvini, che —
sebbene debba sopportare il dissenso (anche sull’Europa) di Maroni —
ieri si è fatto un altro selfie politico con Marine Le Pen. Se così
stanno le cose, se il leader del Carroccio propone un referendum per una
legge che consenta un altro referendum per strappare Roma all’«Europa
ladrona», bisognerà capire quali rapporti potrà stringere Forza Italia
con la Lega. Perché populismo non fa rima con popolarismo, «dobbiamo
uscire dall’equivoco» dicevano ieri Tajani e Romani a Toti, alla vigilia
dell’appuntamento di Parma convocato da Salvini. «Scusate, ma se
l’Unione va verso l’autodistruzione, vogliamo dirlo che è colpa delle
istituzioni europee e dei partiti europei?».
In fondo è questa la
critica che Berlusconi solleva verso Bruxelles, ricordando — giustamente
— che quando denunciò la cosa nel 2011 fu oggetto di scherno in Italia e
di risatine in Europa. Ma chiedendo un «congresso straordinario del
Ppe», il Cavaliere sottolinea la sua appartenenza, che non si concilia
con il diktat di Salvini: «O con me o con la Merkel». La verità è che il
leader azzurro non vuol stare in quel Cantiere organizzato dal
segretario leghista. Non foss’altro perché, da fondatore del
centrodestra, non accetta di sentirsi dire dalla Meloni che il
centrodestra «è morto».
Se restano equivoci e contraddizioni, c’è
un motivo: la Renxit val bene una Brexit. Ed è questo impasto di forze
che dovrà fronteggiare il premier al momento del referendum
costituzionale. Per riuscire a vincerle dovrà passare dall'Europa,
perché è lì che capirà se il suo obiettivo avrà successo. Per far
cambiare verso all’Unione si muoverà da capo del governo e da capo di un
partito, è da leader del maggior partito socialista europeo che stasera
si presenterà da Hollande prima di recarsi insieme a lui dalla Merkel
lunedì. Solo un asse tra socialisti e popolari può tentare di fermare
l’avanzata populista, secondo Renzi: se cadesse il referendum in Italia —
sarà la sua tesi — anche l’Italia cadrà in mani avverse.
Per
riuscire nell’impresa il premier avrà bisogno di tempo, e di tempo per
spostare il referendum ce n’è. Come già anticipato dal Corriere ,
nell’intervista alla Stampa Renzi ieri ha spiegato che la consultazione
popolare «avrà la tempistica prevista dalla Cassazione». Norme alla
mano, tra il responso della Corte (previsto per la metà di agosto), il
tempo per indire il referendum (sessanta giorni massimo) e la successiva
data del voto (tra i cinquanta e i settanta giorni), si può arrivare
persino a dicembre. Anche perché il «senso delle istituzioni»
consiglierà di mettere in sicurezza la legge di Stabilità, prima del
voto referendario...