Corriere 1.6.16
Un difficile equilibrio tra emergenza e xenofobia
di Massimo Franco
Il dilemma non è da poco, per Matteo Renzi. Non esagerare il fenomeno dell’immigrazione in atto significa combattere il populismo leghista; col rischio parallelo, però, di indebolire la pressione sull’Unione Europea perché si prenda una parte del peso sostenuto finora solo dall’Italia. Registrarlo con allarme equivale a dare ragione a Matteo Salvini, che gioca sulla paura e la fomenta, dando un’immagine caricaturale del governo. Il problema è trovare una posizione che affronti il fenomeno nelle sue dimensioni reali. Non è facile, a quattro giorni da un primo turno di Amministrative tutt’altro che prevedibili.
Forse ha ragione il premier quando sostiene che il voto di domenica è «come un calcio di rigore che bisogna tirare bene: lo puoi sbagliare solo tu». Lo ha detto a Milano, dove intorno al Pd lievitano timori e allarmi che vanno al di là delle elezioni. E riguardano i migranti. Sembra che tra Palazzo Chigi e Viminale ci siano consultazioni quotidiane sull’impatto provocato dalle notizie sui naufragi e sui salvataggi nel Mediterraneo. L’Ue continua a pretendere «chiarimenti» sulle misure prese dall’Italia. Insomma, definire quanto accade un’emergenza è riduttivo, di fronte a un fenomeno strutturale.
Ma a breve termine è difficile non vedere un aggravamento della situazione. Renzi è irritato dalle parole d’ordine xenofobe della Lega. E infatti risponde che «non c’è un aumento dei migranti rispetto all’anno scorso. C’è un aumento di allarmi a scopo elettorale». L’impressione, però, è che le due cose si mescolino. Dunque, liquidare solo come strumentalizzazioni le ondate in arrivo finisce per avere effetti controversi. E infatti, un alleato del premier come Pier Ferdinando Casini avverte che «l’effetto invasione c’è, per la concentrazione di arrivi in un tempo limitato». Per questo a suo avviso «è sbagliato minimizzare: si favorisce chi in Europa non intende ascoltare l’allarme dell’Italia». Contrastare la strategia leghista del panico, e insieme non rimuovere il problema: l’equilibrio difficile da trovare è tra questi due estremi. È una sfida quasi proibitiva conciliare l’esigenza di dare risposte immediate, con una strategia a lungo termine. Salvini parla del 2 giugno come «festa di una Repubblica invasa e disoccupata. Che c’è da festeggiare? Sarebbe da abolire».
È una narrativa catastrofista che confida in un aumento degli sbarchi dalla Libia in estate. E dunque specula su una situazione destinata probabilmente a peggiorare. L’Italia è un fronte sovraesposto, ma non è che gli altri Paesi siano al riparo. Dietro gli attacchi alle forze storiche dell’Ue non si scorge solo una crisi di identità . Vengono messe in mora alleanze e istituzioni plasmate dai valori occidentali; e rifiutate come inadeguate di fronte a sfide impreviste. Inutile illudersi: è un’offensiva in crescita, con potenti sponde anche fuori dai confini continentali.