domenica 19 giugno 2016

Corriere 19.6.16
Ogni europeo deve augurarsi il no degli inglesi alla Brexit
di Ernesto Galli della Loggia

L’ assassinio della deputata laburista Jo Cox si rivelerà forse decisivo nel determinare il risultato del referendum sulla permanenza della Gran Bretagna nella Ue — un risultato destinato verosimilmente ad essere comunque di stretta misura — ma non ne muta il reale significato.
Che nella sostanza sarà quello di un confronto tra l’Economia da un lato e la Storia dall’altro. In Inghilterra, il prossimo 23 giugno, si misurerà infatti la rispettiva capacità di ognuna di queste due fondamentali dimensioni della cultura umana di determinare oggi, dopo due secoli di modernità, l’orientamento dell’opinione pubblica europea. Sarà il confronto tra due modi diversi, in certo senso opposti, non solo di concepire e di sentire il legame sociale, ma di giudicare che cosa è che in ultima analisi tiene legata la società alle istituzioni e al sistema politico.
In che cosa, alla fine, consista tale legame: se nello sforzo per ottenere a vantaggio dei suoi membri una sempre maggiore quantità di beni nonché di sicurezza e di occasioni non solo materiali; se dunque il progetto politico-sociale possa essere pensato come la tensione collettiva verso un simile obiettivo volto inevitabilmente sempre al futuro, secondo un meccanismo che non può che essere quello delle aspettative crescenti o comunque mai decrescenti. Ovvero se il progetto di cui sopra si fondi essenzialmente sulla consapevole condivisione di un medesimo patrimonio storico-culturale costituito da un’ampia varietà di elementi.
E cioè dalla lingua alle comuni vicende trascorse, dalle tradizioni giuridiche a quelle religiose, dalle forme dei rapporti tra i sessi, ai modi quotidiani dell’abitare, del mangiare, dello stare insieme. Insomma, come si vede, un confronto non solo tra l’Economia e la Storia, ma anche tra il Futuro e il Passato.
Ora, proprio le vicende storiche, però, hanno voluto che nell’Europa continentale (con la parziale eccezione della Francia e della Svizzera) la fondazione della democrazia — dovuta non lo si dimentichi mai solo alla duplice vittoria americana del ’45 e dell’ 89 — si sia trovata costretta, precisamente perciò, a privilegiare di gran lunga la dimensione dell’Economia su quella della Storia, la scommessa sul Futuro all’ancoraggio al Passato. Pianta essenzialmente importata, la democrazia europea non ha potuto fare altrimenti.
E come è ovvio l’Unione Europea ha seguito queste orme. È una grave responsabilità di tutte le élite europeiste — dominatrici per mezzo secolo della realtà politica dei loro Paesi e per mezzo secolo alla guida della costruzione europea — aver creduto che le cose potessero durare così all’infinito. Che un regime democratico potesse fondarsi stabilmente sulla moltiplicazione delle pensioni, sulla crescita del Pil e della spesa pubblica: il tutto opportunamente affiancato dal continuo ampliamento dei diritti soggettivi a vantaggio di individui sempre più atomizzati. Che non fosse necessario nient’altro. E che anzi tutto il resto fosse un ingombro da lasciare in pasto alla critica demolitrice della modernità vittoriosa.
L’Unione Europea ha riprodotto e amplificato al parossismo questo modello di fondazione delle democrazie nazionali europee. Con l’aggravante che almeno quelle democrazie corrispondevano bene o male a soggetti politici stabiliti e consolidati da tempo, laddove l’Unione, invece, era (è) un soggetto politico da costruire ex novo. Cosa, come si è visto, non proprio così facile se uno deve farlo con l’euro e il «fiscal compact», con ventotto lingue e altrettanti elettorati, e come cultura condivisa solo con il «politicamente corretto» di un insieme di ambiziose velleità universalistiche. Non a caso è soprattutto la questione migratoria quella sulla quale, dopo aver messo alle corde gli establishment politici di mezzo continente, minaccia di naufragare il progetto europeo, e quella su cui si gioca il destino della Brexit. Perché la questione migratoria rappresenta la somma perfetta di tutti gli aspetti inerenti l’identità culturale di una collettività politica. Perché nessun altra rappresenta come quella il confronto fra le ragioni della Storia e tutte le altre, a cominciare da quelle dell’Economia. E tanto meno è un caso che sia proprio la Gran Bretagna, la democrazia inglese, il teatro di questo confronto cruciale. Per almeno due motivi, è impossibile non pensare.
Innanzi tutto perché il Regno Unito è il solo Paese dell’Unione Europea dove l’obbligazione politica poggia non solo sul consenso a un sistema di governo rappresentativo e alle sue regole (in primis la rule of law), ma anche sul profondo legame con l’istituzione monarchica, garante del governo parlamentare e titolare altresì di un importante ruolo religioso (come è noto il monarca inglese è il capo della Chiesa Anglicana). Insomma la democrazia inglese poggia come nessun altra non già sulla fragile base della spesa pubblica, bensì su una legittimazione dal fortissimo carattere simbolico-culturale che fa tutt’uno con la lunga storia della nazione. E che forse proprio per questo possiede un altrettanto forte carattere intimamente popolare.
Una lunga storia di cui non ci si deve vergognare. Ecco il secondo motivo che fa assolutamente diversa la Gran Bretagna e la sua democrazia da quelle di tutti gli altri Paesi che oggi costituiscono l’Unione Europea. Non ce n’è uno di questi che non abbia nel suo passato pagine orribili di compromissione con il fascismo, il nazismo o il comunismo, che nel ‘900 non abbia assistito a persecuzioni razziali e politiche selvagge, a violazioni dei diritti di ogni tipo. La democrazia inglese può dunque alzare senza problemi la bandiera del Passato, richiamarsi a questo con la coscienza tranquilla. Non essendo necessariamente una retorica, la sua Storia può essere fatta valere senza problemi non solo contro l’Economia ma pure contro ogni «politicamente corretto», foss’anche quello dell’«accoglienza».
Ecco perché è decisiva la partita che si gioca in Inghilterra. Ed ecco perché ogni democratico europeo deve augurarsi che la Brexit non prevalga: che dunque la Gran Bretagna resti in Europa sì, ma conservando gelosamente come un patrimonio utile a tutti la sua felice diversità.