Corriere 17.6.16
Jo, il papà operaio le missioni in Africa
Jo Cox, 42 anni da compiere il giorno prima del referendum sulla Brexit era una figlia della working class inglese.
di Fabio Cavalera
LONDRA
In Afghanistan. In Sudan. In Uganda. «È vero ho visitato le zone di
guerra e mi sono trovata in situazioni terribili». Jo Cox, 42 anni da
compiere il giorno prima del referendum sulla Brexit, non era nata con
la politica nel sangue. È diventata parlamentare laburista nel 2015, in
un collegio del West Yorkshire tradizionalmente di centrosinistra, era
figlia della working class inglese, il papà operaio in una fabbrica di
dentifricio e la mamma segretaria di scuola, ma il suo impegno è sempre
stato nelle organizzazioni non profit, con Oxfam, con Save the Children,
con la fondazione di Melinda e Bill Gates. E queste radici le ha sempre
rivendicate.
Anche di recente, lei piuttosto refrattaria ai
palcoscenici nazionali, si era confidata con lo Yorkshire Post , il
giornale locale. «Non sono cresciuta per essere una politica di
professione». Era entrata a Westminster, Camera dei Comuni, perché
l’avevano scelta dal basso per il lavoro di mediazione e di cooperazione
che aveva sempre svolto nello Yorkshire, apprezzata dalle forti
comunità di migranti musulmani, apprezzata dalle comunità cattoliche e
anglicane, apprezzata anche dagli avversari conservatori.
Si era
presa una laurea a Cambridge nel 1995, non senza difficoltà di carattere
economico, e quella esperienza universitaria l’aveva toccata. Cambridge
significa l’élite ma Jo Cox non era l’élite. «E lì ho capito che conta
dove nasci, che conta come parli, che conta chi conosci». Motivo in più
per rivendicare la sua «diversità», le sue semplici origini. Per tornare
a casa e occuparsi di chi soffre. Aveva viaggiato moltissimo. In Asia,
in Africa, in Medio Oriente. Da volontaria. E si era unita in matrimonio
a un volontario con il quale ha poi avuto due bambini. Nel 2008 era
volata negli Stati Uniti per partecipare alla campagna presidenziale di
Obama nel North Carolina, rientrando successivamente e cominciando la
collaborazione coi laburisti, fino all’elezione in parlamento.
Jo
Cox era stata una dei 36 parlamentari che hanno dato l’appoggio iniziale
alla candidatura di Jeremy Corbyn. Ma non era una «corbynista»
convinta. Aveva firmato per consentirgli di partecipare alla corsa alla
leadership (è necessario l’appoggio di un minimo di parlamentari per
potersi presentare alle primarie). Cosa di cui si pentirà in seguito,
per sua ammissione. E voterà per Liz Kendall, espressione dell’area
blairiana. Europeista convinta. Nel discorso di investitura alla Camera
dei Comuni nel 2015 fu tra i pochi a sottolineare la convinzione che il
destino del Regno Unito è nell’Europa: per due anni aveva lavorato a
Bruxelles come assistente di Glenys Kinnock, la baronessa, moglie di
Neil.
Abituata a ragionare di testa sua, Jo Cox era
particolarmente coinvolta nella questione siriana e presiedeva il
comitato parlamentare degli «amici della Siria». Non aveva votato a
favore dell’intervento britannico e dei bombardamenti. Ma nemmeno
contro, come chiedeva Jeremy Corbyn. Si era astenuta perché credeva
giusto l’impegno contro l’Isis ma altrettanto giusto l’impegno contro il
dittatore Assad e, parallelamente, una politica seria di aiuti alle
popolazioni. È il motivo per cui aveva confessato la sua grande
delusione: «Ho un’ammirazione sconfinata per Obama ma sulla Siria ha
sbagliato tutto e mi ha lasciato l’amaro in bocca».
Una donna
sempre fuori dal coro delle banalità. La politica intesa come servizio.
Non come facile scorciatoia per la notorietà. Una parlamentare per
niente schematica, vicina ai cittadini che incontrava ogni fine
settimana. Abitava a Londra, a Tower Bridge, ma tornava sempre nel
collegio. Si stava prodigando contro la Brexit. Mercoledì il marito
Brendan Cox aveva partecipato alla cosiddetta «Battaglia del Tamigi», le
flotte di Nigel Farage, il populista dello Ukip, e degli europeisti
guidati da Bob Geldof a incrociarsi lungo il fiume.
Da poco Jo Cox
aveva rilanciato su Twitter un suo pensiero: «L’immigrazione è una
preoccupazione legittima ma non una buona ragione per lasciare
l’Europa». Aperta, impegnata e coraggiosa. Virtù che tutta Westminster
le riconosce oggi e le riconosceva anche prima. Ora la dipingono come
«una stella nascente» della politica e del laburismo. Esagerazioni. Era
una volontaria con una grande passione per la giustizia e per la difesa
dei diritti umani. Molto più che una «stella».