Corriere 15.6.16
Un patto che resta a metà
di Paolo Mieli
Là
dove scorrevano i flussi del centrodestra italiano, presto,pur restando
le acque copiose, potremmo non ritrovare più né illetto del fiume, né
quellodei suoi affluenti. Gli studiosi rilevano che al secondo turno
delle Comunali gli elettori si sono sempre mossi e anche stavolta si
muoveranno in assoluta autonomia, infischiandosene delle indicazioni dei
leader dei loro partiti. E le tendenze sono già individuabili fin
d’ora: molti leghisti ed elettori di Fratelli d’Italia si pronunceranno a
favore dei candidati di Cinque Stelle. Anche se, va notato, il rapporto
tra Lega e Cinque Stelle è viziato da quella che Roberto D’Alimonte ha
definito una «propensione asimmetrica», nel sensoche mentre c’è un
28,5%dei leghisti pronti avotare il movimento di Grillo, gli elettori
grillini propensi a convergere su un candidato della Lega sono appena il
19%.
Se ne può dedurre che le dichiarazioni di Matteo Salvini per
un suffragio a favore di Virginia Raggi e Chiara Appendino seguono e
non anticipano quelli che saranno i comportamenti elettorali dei suoi
elettori. Resta però che quelle dichiarazioni sono assai significative
sotto il profilo politico. La storia del centrodestra italiano è
iniziata, nel novembre del 1993, tra il primo e il secondo turno di una
votazione per il sindaco di Roma, allorché a Casalecchio di Reno Silvio
Berlusconi annunciò che, se avesse votato nella capitale, avrebbe scelto
Gianfranco Fini in contrapposizione a Francesco Rutelli .
A nche
allora la dichiarazione di Berlusconi era ininfluente per quel che
riguardava lo spostamento dei suffragi. Ma fu giustamente considerata
assai significativa sotto il profilo politico. Adesso la storia del
centrodestra italiano (almeno di quello che abbiamo fin qui conosciuto) è
ad una svolta proprio là dove era cominciata: al ballottaggio per la
designazione del primo cittadino di Roma. E lo è per il fatto che la
decisione dei leghisti di appoggiare la candidata grillina non è
motivata — come sarebbe normale — dalla esclusiva volontà di battere gli
aspiranti sindaci del Pd, bensì, ha specificato Salvini, da un idem
sentire in materia di banche, economia, Europa (pur se Luigi Di Maio in
aprile a Londra ha corretto le posizioni iniziali del movimento dicendo
di considerare la Ue «una risorsa»), talché tra i due movimenti
resterebbe solo qualche distinguo sul tema immigrazione. L’impegno poi
va al di là di una generica indicazione di voto. Un bossiano di antica
data, Mario Borghezio, si è addirittura dato carico di un intervento
attivo e militante per far cambiare idea a quei leghisti torinesi ancora
recalcitranti alla prospettiva di votare la Appendino.
Il resto
lo farà la politica. Indirizzare i propri elettori a pronunciarsi per la
Raggi e la Appendino nel mentre ci si prepara a combattere assieme la
battaglia di ottobre per il No al referendum, è una scelta che condurrà
inevitabilmente ad un rapporto sempre più stretto tra le due formazioni.
Stretto
sì, ancorché affetto da un vizio di subalternità. In un primo tempo
tutti gli esponenti del carroccio negheranno ma presto saremo costretti a
constatare la collocazione del movimento che fu di Umberto Bossi nella
scia di quello guidato da Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio. E qui
sta il punto: fino ad oggi non è nato nessun asse tra Lega e Cinque
Stelle, perché un asse sarebbe tale solo se il loro fosse — pur
sbilanciato in ragione della diversa consistenza elettorale — un
rapporto tra pari. Come lo fu quello — anche allora squilibrato sotto il
profilo delle quantità di voti — tra Berlusconi, e Umberto Bossi. È
invece accaduto che molti esponenti leghisti hanno riproposto le
indicazioni di Salvini, ma nessun rappresentante grillino si è sentito
in obbligo di restituire la cortesia. E sì che avrebbero avuto un’ottima
occasione per farlo: ad esempio a Bologna in favore della leghista
Lucia Borgonzoni sfidante di Virginio Merola. Ma se ne sono ben
guardati. Di più: mentre il capo della Lega ammiccava dicendo di sapere
che tra loro «localmente esiste un dialogo» (pur senza specificare
dove), Di Maio ha tenuto a mettere in chiaro che le «iniziative di
Salvini sono di Salvini», che i rapporti dei seguaci di Grillo con la
Lega si sono limitati alle condoglianze per la morte di un
europarlamentare del Carroccio, e che, per quel che riguarda la
Borgonzoni, coloro che si ispirano a Grillo non faranno «endorsement per
chi rappresenta partiti che hanno già avuto l’opportunità di
governare». Curioso poi che i seguaci di Grillo rifiutino anche solo di
incontrare Salvini proprio nei giorni in cui, invece, a Milano Dario Fo,
nei panni di profeta pentastellato, si spende in modi appena trattenuti
a favore di Stefano Parisi nella battaglia contro Beppe Sala.
Tutto
ciò consente al movimento di Grillo di mantenere intatta l’immagine di
una formazione che si batte in beata solitudine, del partito che non fa
alleanze con nessun altro, neanche piccoli compromessi locali, e che
terrà il punto fino al giorno in cui ad un ballottaggio conquisterà il
50 per cento più uno dei voti, in una città o in tutto il Paese. Un
risultato che quantomeno per la capitale d’Italia è adesso a portata di
mano. Oltretutto già al primo turno il mancato ricorso alle pattuizioni,
quel presentarsi da soli su schede elettorali dove le altre liste erano
appesantite da apparentamenti, si è rivelato un punto di forza fin ad
oggi sottovalutato. Verrà il momento di approfondire il tema di questa
«solitudine» che non appare più come un isolamento ma, anzi, conferisce
smalto alla iniziativa politica del movimento.
Può darsi (anzi è
probabile, soprattutto se a Milano vincerà Parisi) che prima della fine
della legislatura la Lega decida di tornare sui propri passi e, in vista
di qualche futuro appuntamento elettorale, accetti le profferte di quel
che resta di Forza Italia. Profferte che non mancheranno e che, è
immaginabile, si faranno sempre più insistenti. Lo stesso discorso vale
per Fratelli d’Italia. Non adesso che in Giorgia Meloni prevale
l’irritazione per essere stata dileggiata dagli ex amici berlusconiani
dopo che, oltretutto, le hanno impedito di essere ammessa al
ballottaggio romano. In ragione di ciò, anche lei ha recentemente
condiviso l’infatuazione leghista per le candidate grilline. Tra qualche
tempo, però, anche per Fratelli d’Italia verrà il momento della
riconsiderazione. Ma si può escludere fin d’ora che una parte almeno
degli elettori dei due partiti, una volta sperimentata la confluenza nel
fiume dei Cinque Stelle, torni indietro compatta. Forse lo farà il
personale politico, ma una buona fetta di quelli che votano, si può
esserne certi, obbedirà alla legge di natura che impedisce ai fiumi di
rientrare verso le sorgenti. Ciò che è destinato a modificare in maniera
non irrilevante il panorama idrogeologico della politica italiana.