Corriere 13.6.16
la crisi dei migranti è il banco di prova dell’identità europea
di Mauro Magatti
L
e ultime rilevazioni dicono che l’attrazione verso la Ue è in forte
calo nelle opinioni pubbliche del Vecchio Continente. E come potrebbe
essere diversamente? Se si guarda l’Europa dal di fuori, ci potrà forse
risultare più chiaro che il nostro mito politico ruota attorno a
un’idea: il principio della dignità umana come base possibile, insieme,
dell’ordine democratico e dello sviluppo economico. Qualcosa che ci
distingue tanto dagli Stati Uniti (dove prevale il mito della nuova
frontiera e del self-made man ) quanto della Cina (che vive del mito
dell’armonia).
Non si tratta solo di un principio astratto. Se si
prende una cartina geografica, si può constatare che solo nel Vecchio
Continente esiste un sistema universalistico di protezione sociale
chiamato welfare . Al di là di tutte le sue inefficienze e
insufficienze, è questo il tratto che più ci contraddistingue e di cui
dovremmo essere più gelosi e orgogliosi. Non è dunque per caso che la
questione dei migranti sia oggi il punto di tensione più forte che sta
attraversando l’Europa. Da una parte, c’è il richiamo a questo nostro
principio, messo alla prova in modo drammatico. Dall’altro ci sono
comprensibili e legittime preoccupazioni, accentuate dalla mancanza di
una chiara linea d’azione comune.
I nostri sistemi politici sono
profondamente scossi da questa sfida, che coinvolge dimensioni
economiche, politiche, culturali. Al punto che siamo arrivati a
costruire muri! E persino nella civile Inghilterra, la gestione
dell’immigrazione è uno dei temi caldi della dibattito sulla Brexit. Si
può arrivare a dire che proprio la questione storica del migranti sarà
il terreno su cui vivrà — dandogli misura, sostenibilità e sensatezza
istituzionale — o morirà il progetto politico che sta alla base della
Ue. Ma cosa significa questo? Almeno tre cose.
Primo: senza la
capacità di tradurre in una forma istituzionale concreta il principio
della dignità umana l’Europa non c’è più. Semplicemente perché viene
meno la ragione dello stare insieme. Non c’è dubbio che il mutuo
vantaggio economico sia un argomento forte. Ma nella storia non si è mai
vista una forma politica nascere senza la condivisione di un mito
comune.
Secondo: nel momento in cui assume forma istituzionale, il
principio della dignità della persona deve fare i conti con la
complessità del reale. La riflessione sul welfare — e la sua concreta
costruzione istituzionale — è stata storicamente vittoriosa perché ha
saputo mostrare che la mediazione tra le esigenze della crescita e la
cura delle persone non solo è possibile ma è addirittura vantaggiosa.
Oggi sappiamo quanto il welfare sia minacciato dalla crescente pressione
della globalizzazione, oltre che per il progressivo invecchiamento
della popolazione e la crescita della domanda sanitaria. Tanto che ci
poniamo domande sulla sua sostenibilità. Ed è proprio da questa
angolatura che la questione dei migranti va ripensata.
Intanto,
tenendo conto che le curve demografiche europee sono allarmanti. Il
previsto calo della popolazione e il suo invecchiamento nei prossimi
decenni saranno il fattore di rischio più importante per la nostra
prosperità. Il recupero — da avviare in modo urgentissimo — di un
equilibrio migliore passa, almeno in parte, da una corretta gestione del
fenomeno migratorio. E poi considerando che il lungo e difficile
processo di integrazione dei migranti — un lavoro vero e proprio che
richiederà anni — può essere un modo per generare occupazione. Che è
qualcosa di cui in Europa abbiamo molto bisogno. Negli anni 30, per
spiegare il senso del New Deal , Keynes sosteneva che l’uscita dalla
crisi passava dal ruolo anticiclico della spesa pubblica: arrivando a
dire che, se necessario, si dovevano scavare buche per poi ricoprirle.
Ovviamente ciò richiede risorse. Ma come è evidente in questi anni di
politiche monetarie convenzionali, le risorse finanziarie possono essere
anche create ex nihilo . Laddove esiste una volontà politica per farlo e
sostenerlo.
In terzo luogo, una politica di apertura e
accoglienza non può essere senza misura. Deve rispettare la
sostenibilità. Che più che economica è qui di ordine sociale e cultuale:
l’innesto di persone provenienti da altri mondi è sempre un’operazione
delicata e che può facilmente provocare una crisi di rigetto quando non è
chiaro il patto di cittadinanza (fatto di diritti e doveri) che si
propone ai nuovi arrivati. Negli anni scorsi si è parlato tanto di
identità europea. Spesso solo retoricamente. Ma l’identità si costruisce
— culturalmente e istituzionalmente — solo in rapporto all’esperienza,
alla vita.
Per questo la crisi migratoria — che l’Onu avverte è
destinata a durare molti anni essendo una conseguenza di medio termine
del grande salto storico rappresentato dalla «globalizzazione» —
costituisce per l’Europa il terreno di gioco su cui si forgerà la sua
identità futura. A partire dalla capacità di fare del principio della
dignità della persona umana la base di nuovi assetti istituzionali. Ma
anche dell’identità che vogliamo dare all’Europa. Dalla storia che
vogliamo scrivere. Quella dei migranti è cioè il principale banco di
prova per dire cosa è l’Europa e quale tipo di società politica vuole
essere. Sempre ammesso che una tale aspirazione stia nella testa e nel
cuore degli europei .