Corriere 10.6.16
Un partito obbligato a ritrovare il baricentro
di Massimo Franco
L’incubo
dell’accerchiamento del Pd ai ballottaggi comincia a prendere corpo.
L’unica consolazione è che a evocarlo sono le nomenklature dei partiti
avversari, mentre conterà solo il responso degli elettori. Ma lo sfondo
che si potrebbe delineare il 19 giugno non è rassicurante. Matteo Renzi
ha già fatto sapere che se anche perdesse Roma e Milano non si
dimetterebbe: un modo per abituare l’opinione pubblica all’eventualità
di una sconfitta senza contraccolpi sul governo. E, aggiungendo che non
farà iniziative in vista dei ballottaggi, ha confermato le distanze, non
è chiaro se volute o forzate, dalle Amministrative.
Rimane da
capire se la concentrazione sugli impegni all’estero e sul referendum di
ottobre basteranno a tenerlo davvero al riparo da un voto negativo.
Tanto più se sono vere le voci che cominciano a circolare, di una
situazione in bilico perfino in una città ben governata come Torino, e a
Bologna. È probabile che rientrino anche in una sorta di guerra
psicologica ingaggiata dalle opposizioni per accentuare il nervosismo
del Pd. Le indicazioni della Lega e di FdI a favore della candidata del
M5S a Roma, Virginia Raggi, sono indicative; idem le parole di Stefano
Parisi a Milano su un movimento di Beppe Grillo tentato di votare per
lui.
Insomma, l’esorcismo di Renzi su un governo comunque saldo
dopo i ballottaggi funzionerà se i risultati non saranno tali da
provocare una rivolta nel suo stesso Pd. Non aiutano molto le minacce
del premier di volere usare «il lanciafiamme» contro la minoranza
interna. Sebbene non sia facile dare torto al premier sulle resistenze
che registra, parole così crude alla vigilia del secondo turno possono
avere effetti negativi; e accentuare la voglia di costringerlo a una
resa dei conti da posizioni di debolezza. D’altronde, è Renzi a
ammettere che «il Pd si vergogna» di lui.
La domanda che fa
capolino è se si tratti degli effetti di una strategia elettorale
sbagliata. Oppure se quanto sta accadendo nel Pd dipenda dalla
sensazione che il vento sia cambiato; e che dunque il partito debba
cominciare a prevedere una fase controvento, sebbene non si vedano
alternative. Non ci sono solo i fischi di ieri alla Confcommercio sul
bonus di 80 euro: uno dei provvedimenti che Palazzo Chigi ha sempre
additato come simbolo delle promesse mantenute.
Ci sono
soprattutto immigrazione e lavoro. Il premier ripete che «non c’è
nessuna invasione» e che sull’occupazione le contestazioni sono frutto
di «rancore ideologico». E l’impressione è che quanto sostiene Renzi non
sia così lontano dalla realtà. Il prefetto Mario Morcone, che coordina
gli interventi per il Viminale, nega un’emergenza migranti. Ma la
narrativa ottimistica si ritorce contro Renzi. E i nemici ormai
scommettono sull’implosione di un Pd che non ritrova né unità né
baricentro intorno al premier.