Repubblica 9.5.16
La Costituzione e la vera nascita della Seconda Repubblica
Tutti
gli altri tentativi di modifica sono falliti perché i partiti erano
troppo ingombranti, mentre oggi si realizza per la loro debolezza
di Concetto Vecchio
Nel saggio di Nadia Urbinati dubbi e rischi della riforma della nostra Carta
Quali
sono i rischi che la riforma Boschi, sulla quale gli italiani si
esprimeranno con un referendum in autunno, reca con sé per la qualità
della nostra democrazia? Qual è il retroterra ideologico e culturale
della modifica dei 40 articoli della Costituzione? In La vera Seconda
Repubblica (Raffaello Cortina Editore) la presidente di “Libertà e
Giustizia”, Nadia Urbinati, che insegna Teoria politica alla Columbia
University, e David Ragazzoni, dottorando in scienza politica alla
medesima Columbia, rispondono a tutte le domande.
La tesi di
fondo: questa riforma muta radicalmente la forma della nostra Repubblica
e pertanto rappresenta un pericolo nel caso finisse nelle mani
sbagliate. La fine del bicameralismo paritario segna inoltre l’inizio
della Seconda Repubblica: quella di cui abbiamo parlato negli ultimi
vent’anni era una mera costruzione ideologica. La Seconda Repubblica
nasce ora, con Renzi. Un leader “non a caso” non eletto in Parlamento,
che porta a compimento un processo che ha radici nel gollismo e nel
craxismo, e che stabilisce il primato dell’esecutivo sulla maggioranza
parlamentare. Il libro è quindi il manifesto di quelli che voteranno no.
Ma è anche un saggio argomentato. Un excursus storico nelle tante crisi
che hanno afflitto il nostro sistema politico: il suo interesse è
duplice.
Non c’è modifica della Carta senza la nuova legge
elettorale, l’Italicum, e viceversa. Le due cose si tengono. Non è un
caso, argomentano i due autori, che l’Italicum preceda la riforma
costituzionale, adeguando l’intero sistema a un governo del premier,
dove il partito che vince si piglia tutto. E ciò non sarebbe stato
possibile se negli ultimi anni non ci fosse stata una profonda mutazione
del Partito democratico, che gli autori definiscono un partito
“monista”, edificato sul leader, forte nella leadership ma debole nella
struttura. La conseguenza: se vincessero i sì, saremmo di fronte, nella
migliore delle ipotesi, a un premierato forte con un partito debole;
nella peggiore, in caso di prevalenza di forze con venature autoritarie,
a una maggioranza contro cui ci sarebbe ben poco da opporre, visto che
il Parlamento viene indebolito. Gli autori analizzano criticamente i
tentativi di riforma degli ultimi trent’anni, dalla riforma Bozzi (1983)
alla Iotti-De Mita (1992), dalla Bicamerale di D’Alema (1997) ai saggi
del governo Letta (2013). Tutte nascevano in Parlamento (mentre la
riforma Boschi è di iniziativa governativa) e sono fallite perché i
partiti erano troppo ingombranti, mentre oggi la fine del bicameralismo
paritario si realizza proprio grazie alla estrema debolezza dei partiti.
Si
potrebbe obiettare: ogni riforma è figlia del suo tempo. L’esigenza di
procedimenti legislativi più spediti è largamente sentita, frutto di un
processo ormai irreversibile. Soprattutto: la riforma è una risposta a
una grande stanchezza. Nel libro si cita la denuncia ante litteram di
Pietro Ingrao che in un’intervista al Giorno dichiarava: «La crisi del
Parlamento è funzionale». Era il 17 ottobre 1966.
Seduta dell’Assemblea Costituente, 1948
IL LIBRO La vera Seconda Repubblica di Nadia Urbinati e David Ragazzoni (Cortina)