Repubblica 30.5.16
“Trump eccessivo, staff in crisi”
Nuova inchiesta del New York Times sul candidato repubblicano: “Attorno a lui, il caos” Durissima la replica del tycoon: “È un giornale che sta fallendo e pubblica solo falsità”
di Alberto Flores D’Arcais
NEW YORK. Il primo a usare la parola tabù era stato Robert Kagan sul Washington Post
(«Ecco come il fascismo arriva in Americ»”), adesso l’ha sdoganato anche il New York Times
con un articolo di Peter Baker, corrispondente dalla Casa Bianca. Lui, “The Donald”, non se ne preoccupa troppo: sa che certi attacchi possono portargli nuovi fan, in questo caso dalla destra estremi. Quello che invece proprio non sopporta sono gli articoli che il quotidiano di New York ha messo insieme negli ultimi tempi su di lui e che secondo Trump fanno parte di una vera e propria «campagna diffamatoria» da parte di un giornale «in fallimento».
L’ultima irritazione è per l’articolo dedicato ai suoi più stretti collaboratori (27 maggio), che partendo dal licenziamento in tronco di Rick Wiley (direttore politico della sua campagna) neanche due mesi dopo averlo assunto, fa il punto sullo “staff zoppicante” del candidato del Grand Old Party. «Il New York Times, che sta fallendo, ha scritto una storia sul mio stile di gestione e sul fatto che non ho molte persone nel mio staff. Ne ho 73, Hillary ne ha 800 e la sto battendo», la replica un po’ stizzita di “The Donald”. Che poi aggiunge una velenosa frase sull’attendibilità dei giornalisti: «Non credete ai media che citano staff della mia campagna per scrivere i loro articoli, le uniche affermazioni che contano sono le mie».
In effetti, con la sua presenza bulimica sui social network (che gestisce tutti in prima persona o con i figli) le polemiche (e la pubblicità) le alimenta quasi da solo. Con il New York Times (il quotidiano liberal si è schierato con Hillary Clinton) ha un conto da regolare non solo, o non tanto, per gli editoriali che lo definiscono «poco presidenziale» o gli articoli che lo descrivono come pericoloso per il futuro dell’America, ma soprattutto per l’inchiesta sui suoi rapporti con le donne (14 maggio). Cui aveva replicato accusando il giornale di «essere disonesto», di aver eliminato le risposte di donne a lui favorevoli e di aver scritto «un sacco di bugie». Dieci giorni dopo il Nyt è intervenuto nuovamente con un lungo elenco di tutte le dichiarazioni misogine di Trump.
Quello di cui il candidato che mira alla Casa Bianca dovrebbe adesso preoccuparsi è la decisione del giudice Gonzalo Curiel, che ha ordinato che vengano resi pubblici i documenti sulla Trump University, una vicenda che potrebbe metterlo in difficoltà. Lui ha reagito con l’insulto («è un messicano») e con quella che è sembrata quasi una minaccia («ci vedremo a novembre quando sarò presidente»).