sabato 28 maggio 2016

Repubblica 28.5.16
Dalla storia una lezione per l’Europa
Migranti, una risorsa per far lievitare il Pil
di Giorgio Lonardi

Ce l’insegna la storia e lo confermano le analisi economiche: l’arrivo dei rifugiati in Europa potrebbe avere un impatto positivo sulla crescita. Gli esempi tratti dal passato, come spiega Adriano Prosperi, professore emerito di Storia moderna presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, ci spingono a mettere in discussione una visione che giudica “l’opposizione identitaria” fra culture e religioni diverse incompatibile con la convivenza pacifica e lo sviluppo.
Gli esempi non mancano. A cominciare dalla vicenda degli Ugonotti, che all’indomani dell’abolizione dell’editto di Nantes (1685) che proteggeva le comunità calviniste fuggirono in massa in Svizzera e in Germania, dove costituirono una robusta comunità nella citta tedesca di Erlangen. Una migrazione “miracolosa” che pose le basi in entrambi i Paesi per la nascita dell’industria dell’orologeria. «Un altro caso interessante», dice Prosperi, «riguarda gli ebrei che nel 1492 fuggirono dalla Spagna per rifugiarsi a Livorno creando una rete commerciale vivacissima che fra il ‘500 e il ‘600 estese i suoi traffici fino al Giappone, apportando ricchezza e prosperità alla loro città».
Certo, si registrano anche esempi meno felici (e meno conosciuti), come quello dei “moriscos”, gli arabi musulmani che furono espulsi dalla Spagna nel ‘500 e vennero chiamati in Toscana per ripopolare le campagne della Maremma. Di loro, racconta Prosperi (che parlerà al Festival il 3 alle ore 11), dopo una trentina d’anni si persero le tracce. Probabilmente la comunità venne assimilata e non ci sono evidenze di un contributo positivo all’economia locale. Quando si parla di rifugiati è bene non farsi abbagliare dal pregiudizio. E ricordare che chi fugge dalla guerra oppure da persecuzioni politiche o religiose non si sposta per motivi economici. E dunque difficilmente “ruba” il lavoro ai locali. Anche su questo tema, come spiega Antonio Spilimbergo, economista del Fondo Monetario (la sua conferenza è il 4 alle 12), «ci sono ben poche prove che il lavoro dei rifugiati venga sottratto ai nativi». Al contrario: i rifugiati rimpiazzano i locali nei compiti che questi ultimi non vogliono più svolgere. Emblematico il caso dei 100mila cubani che negli anni ’80 furono invitati da Fidel Castro a lasciare il Paese e che si rifugiarono a Miami. «Non ci furono shock particolari», dice Spilimbergo, «eppure 100mila persone che si riversano in un’area relativamente piccola in un periodo di tempo breve avrebbero dovuto avere un impatto sensibile sulla realtà sociale. Non fu così e si integrarono abbastanza bene». Spilimbergo, dopo aver ricordato come l’immigrazione di un milione di ebrei russi in Israele sia stata all’origine del boom hi-tech registrato a Tel Aviv, spiega che uno studio del Fmi sugli effetti dell’arrivo dei rifugiati ipotizza una crescita aggiuntiva del Pil europeo dello 0,2%, che salirebbe allo 0,5% per la Germania che vuole accogliere un numero di profughi maggiore. L’analisi si basa sull’ipotesi che sbarchino 1,3 milioni di persone all’anno fra il 2015 e il 2017 e che il 40% siano rimpatriate. Ma anche che gli europei aiutino economicamente i rifugiati e che questi trovino un lavoro nel giro di 2-3 anni.