Corriere 28.5.16
Perché la festa del 2 giugno celebra un mito di fondazione ancora debole
di Dino Messina
Il settantesimo anniversario della nascita della Repubblica può essere finalmente l’occasione per una riflessione collettiva sui motivi di un debole mito di fondazione. La festa del 2 giugno è stata spesso vissuta come un’occasione di commemorazione ufficiale. Più sentita dagli italiani, pur nella sua connotazione divisiva, è la ricorrenza del 25 aprile 1945, giornata della Liberazione dal nazifascismo, che fu subito proclamata festa nazionale.
Il 2 giugno 1946, data del referendum istituzionale, non ha acquistato la stessa valenza che per gli statunitensi ha il 4 luglio 1776 o per i francesi il 14 luglio 1789. Né la donna turrita che simboleggia l’Italia repubblicana ha mai avuto la stessa popolarità della Marianna francese.
Tra le spiegazioni, ce n’è una legata all’atto di nascita. All’indomani del referendum istituzionale fu lo stesso governo di unità nazionale presieduto da Alcide De Gasperi a non voler enfatizzare i toni della vittoria. La Repubblica si era affermata con 12,7 milioni di voti contro 10,7 per la monarchia, con uno scarto di due milioni, inferiore alle attese. I risultati fotografarono un Paese spaccato in due: con il Centro Nord totalmente Repubblicano e il Sud e le Isole completamente per la monarchia. A Milano i voti repubblicani erano stati il 67,8 %, a Roma il 46,2 e a Napoli il 20,1. Nella metropoli campana tra il 6 e l’11 giugno c’erano state violente manifestazioni monarchiche represse nel sangue. Si temette una nuova guerra civile. Anche per questo De Gasperi volle che il primo presidente (provvisorio) della Repubblica fosse Enrico De Nicola, galantuomo napoletano di idee monarchiche.
Eppure il 2 giugno 1946 fu il primo grande passo in avanti dopo i lutti della guerra e i disastri del fascismo. La speranza aveva vinto sulla paura. Ma si preferì non riconoscere appieno tutto il significato di quella svolta.