lunedì 23 maggio 2016

Repubblica 23.5.16
Eugenio Gaudio, Rettore della Sapienza di Roma
“Colmare la distanza tra sapere e saper fare”
di Corrado Zunino

Eugenio Gaudio, 60 anni, da ottobre 2014 è rettore dell’università La Sapienza di Roma, la più grande del Paese. Medico chirurgo, nel programma elettorale aveva, in gerarchia alta, il rapporto tra università e lavoro.
Rettore, ci spieghi in che modo l’offerta formativa della Sapienza sta rispondendo ai cambiamenti nel mondo del lavoro.
«Innanzitutto, stiamo aumentando l’offerta a livello internazionale e introducendo concorsi tenuti completamente in inglese per spingere i nostri all’estero e dall’estero attrarre. Poi, abbiamo istituito nuove lauree, direttamente ispirate dal mondo del lavoro. Un corso in inglese su fashion- moda, per esempio, pieno di storia, geografia, cultura del Paese, peculiarità artistiche. Si parte a settembre. Oggi un manager solo economico e giuridico è superato, dobbiamo formarli con competenze umanistiche, psicologiche, filosofiche. Più contaminati e adeguati al capitale umano che devono gestire».
Quali le novità nell’area medica?
«È stata la prima ad adeguarsi e oggi offre i risultati migliori. Due i pilastri: il numero programmato, non chiuso. Programmato in maniera democratica. Consente di studiare e non solo di iscriversi. E poi tutte le lauree di area medica sono professionalizzanti: clinici, tecnici di laboratorio, infermieri. Una novità è stata la riforma delle scuole di specializzazione, prima ancora l’esame unico nazionale. E 60 crediti assegnati per la pratica medica provano a chiudere quella distanza tra sapere e saper fare che è un limite dei nostri laureati. Presto arriveremo all’Esame di Stato consegnato insieme alla laurea e i nostri universitari non butteranno via un anno».
La formazione medica ha una lunga scia di concorsi fasulli, un rapporto non aperto tra insegnante e docente.
“La cultura del “mi metto dietro al professore e attendo” ha prodotto pessime cose, ma è frutto delle aperture senza investimenti degli anni Sessanta. Nel 1950 in Italia, a Medicina, c’erano 400 iscritti l’anno, dal 1969 sono diventati 4.500. E l’intaso di studenti senza sbocchi lavorativi ha creato le file, le lauree senza frequentare, il rapporto ottriato professore-discente. L’esame di specializzazione nazionale ha rotto un legame di scuola che è positivo, ma ha visto troppi abusi. E così l’introduzione di soglie minime nei concorsi. C’è ancora strada da fare».