giovedì 19 maggio 2016

Repubblica 19.5.16
“La mia vita con Lucy l’antenata di tutti noi”
“La chiamammo così perché stavamo ascoltando “Lucy in the sky” dei Beatles” “Ho detto al Papa che mia nonna mi attaccò dicendo: dalle scimmie discenderai tu”
Parla Yves Coppens, il paleoantropologo che scoprì l’ominide più antico della storia. Oggi è a Roma per una conferenza a Villa Medici
di Silvia Bencivelli

Yves Coppens racconta due storie. Una è la storia dell’uomo, che lui, paleoantropologo tra i più famosi al mondo, ha contribuito a scrivere mettendo il proprio nome su ben sei specie di ominidi, vissuti tra i sette milioni e i centomila anni fa. E tra queste c’è quella della nostra antenata più famosa: Lucy. L’altra è la storia di come tutto questo sia stato svelato in decenni di scavi sotto il sole africano: da quando ci si mettevano settimane a raggiungere un sito archeologico, a oggi, che con un paio di click al computer puoi ricostruire l’anatomia di una specie estinta. Ma Yves Coppens, a ottantadue anni, non si è ancora stancato di parlare. Stasera lo farà all’Accademia di Francia, a Villa Medici a Roma, con una conferenza dal titolo
La grande storia dell’uomo e la piccola storia di un uomo.
Cominciamo dalla scoperta di Lucy.
«Beh quella di Lucy è una storia emblematica, ma io ho lavorato prima e dopo di lei in Africa, in Asia, in Sudamerica e ho scoperto diverse specie di ominide, anche più antiche di lei (prende carta e penna e le elenca ridendo, una per una, col nome latino e la datazione, ndr). E sa come si chiama mio figlio? Quentin, perché è nato dopo la scoperta del mio quarto ominide: era il quinto a cui davo il nome! Comunque per tornare alla ricerca, è vero: Lucy è la cosa per cui sono più famoso».
Perché la scoperta di Lucy è stata tanto importante?
«Perché ai tempi in cui l’abbiamo trovata, nel 1974, era l’ominide più antico mai scoperto e il più completo. Avevamo 52 pezzi di scheletro e questo ci ha permesso di ricostruire la forma intera del corpo. Così di Lucy abbiamo potuto disegnare la silhouette. Per noi scienziati ha significato capire che gli ominidi potevano avere una doppia locomozione: essere sia bipedi sia arrampicatori. Ma per il pubblico Lucy è diventata un personaggio: non più un insieme di ossa, ma una piccola signora, esotica e anziana, “mamma dell’umanità”. Dal nome facile, che tutti ricordano».
Già: il nome. Ci sono molte leggende su come sia stato scelto. Qual è la verità?
«Dunque: la sera, al campo, ci mettevamo lì a marcare i fossili, uno per uno, con l’inchiostro. Era noiosissimo. E lo scheletro di Lucy, in quel momento, si chiamava col nome del sito in cui era stata scoperta: AL 288. Poi, a un certo punto, ci siamo trovati in mano l’osso sacro e il femore e ci siamo detti: è una femmina! Siccome in quel momento stavamo ascoltando i Beatles e la cassetta suonava “Lucy in the sky with diamonds”… È stata Lucy. Non è una leggenda e, ci tengo a dirlo, non ci fu nessuna strategia».
Da allora la paleoantropologia è cambiata molto?
«Moltissimo. Nel 1967 nel sud dell’Etiopia scopriamo l’Australopithecus aethiopicus. Scriviamo una nota per l’accademia delle scienze ma si pone il problema di come spedirla a Parigi. Così la affidiamo a un ragazzo per portarla in un ufficio postale a mille chilometri da lì. Lui, completamente nudo, la infilza a un’asticella e se ne va. E io vedo la mia nota che si allontana ondeggiando sull’erba alta. Beh: un po’ polverosa, ma arrivò. Oggi basterebbe una mail! Ma è cambiata anche tutta l’analisi anatomica: prima ai nostri frammenti di osso facevamo una lastra. Poi è arrivata la tomografia. Oggi con la Pet ne studiamo la forma con una precisione incredibile».
E poi c’è la genetica.
«Sì, ha fatto grandi progressi, ma il più lo deve ancora fare. Ci dà informazioni sulla genealogia, sulle migrazioni, ma non riesce ancora ad andare tanto indietro nel tempo».
Nel 2014 è stato nominato membro della Pontificia Accademia per la Vita. Ha parlato col Papa?
«Sì. Gli ho detto: “Santità, mia nonna, cattolica praticante, un giorno mi rimproverò: ragazzo tu forse discendi dalle scimmie, ma io no! Beh, per quanto mi riguarda che lei creda a me o a mia nonna è indifferente, perché siamo tutti parte della stessa famiglia!”».