Repubblica 16.5.16
Il M5S e la retorica della purezza
di Nadia Urbinati
SEMBRA
che non ci sia scampo alla retorica della purezza in politica: funziona
fino a quando chi la brandisce non amministra la cosa pubblica. Un po’
come succede quando si è nella pre-adolescenza e la verginità è
semplicemente un fatto conseguente all’assenza di pulsioni e tentazioni,
non al loro governo.
CAPITA più o meno così in politica a quei
movimenti di opinione che crescono contando proprio sull’assenza di
tentazioni. Il Movimento 5 Stelle è nato sulla scia dei Vaffa-Day, i
raduni di gente intorno ai palchi di Beppe Grillo per gridare il
disgusto verso una classe politica corrotta e intanto rivendicare la
purezza di chi stava fuori dai giochi. Tutte le repubbliche in tutti i
tempi hanno conosciuto movimenti di purificazione e dovuto far fronte al
declino dell’etica pubblica tra i governanti. Il caso più celebre è
certamente quello che vide protagonista il frate domenicano Savonarola
le cui orazioni infiammarono folle di fiorentini disgustati dall’abuso
di potere perpetrato dall’oligarchia cittadina. Un altro caso non meno
celebre è quello americano del Great Awakening, il Grande Risveglio
religioso che nacque ancora prima della proclamazione dell’Indipendenza,
per denunciare come, nonostante i pellegrini avessero lasciato il
vecchio e corrotto mondo, la brama di potere ritornava comunque, anche
nella vergine terra del nuovo mondo. Come si vede, a brandire la spada
della purezza furono capi e movimenti religiosi. Non perché solo alla
religione appartenga il compito di predicare i buoni costumi, ma perché
alla religione riesce con naturale facilità di additare al peccato e
predicare la purezza – avendo a cura l’anima. La quale può tenersi
meglio al riparo dal peccato qualora si tenga lontano dalle tentazioni.
Mettendo in conto l’umana debolezza – il fatto appunto che la verginità
fisica e spirituale costa quando è una scelta e non l’esito della
naturale innocenza.
Il movimento dei grillini è cresciuto; ormai
uscito dalla fase della naturale innocenza. Dal momento in cui ha deciso
di correre per il governo delle città e i seggi in Parlamento, ha
accettato la sfida della scelta: e ha accettato di essere sfidato dalla
tentazione, di rischiare cadute e ricadute. La retorica della purezza
non funziona più. Le vicende di corruzione, presunte o reali, che lo
interessano a Livorno come a Parma o altrove, mettono a nudo la
fortissima debolezza della retorica incendiaria della purezza. Non
perché si debba capitolare di fronte all’umana fragilità – con
l’argomento del «chi è senza peccato scagli la prima pietra» non si
governa la cosa pubblica perché è un passaporto all’accettazione della
corruzione. La virtù politica è diversa da quella religiosa.
La
virtù politica si manifesta e si concretizza nel mettere in conto le
contaminazioni che il potere può comportare e quindi nel correre ai
ripari con misure che prevengano, contrastino e reprimano: con buone
leggi e buone regole, con la pratica della legalità e l’educazione al
civismo, con misure di dissuasione, di contenimento e infine di
repressione dell’illegalità. Non la purezza quindi può essere la pietra
di paragone di una politica onesta, ma il modo in cui si interpreta, si
gestisce e si affronta la pratica del governo della cosa pubblica. Le
buone regole presumono demoni non angeli, i quali di regole possono
farne a meno perché innocenti senza sforzo.
È quindi dal modo di
affrontare la gestione della responsabilità pubblica (e della
possibilità che si abbiano impurità legali, ovvero crimini) che si vede
la natura di un gruppo politico. E un non-partito quale vuole ancora
essere il M5S è a questo punto un problema, più che la soluzione del
problema corruzione. Nato contro i partiti perché ha identificato la
corruzione con la forma partito stessa, il M5S è oggi in una fase
critica e di grandissima empasse proprio perché il suo essere movimento
lo rende pericolosamente in balia del rischio corruzione in quanto
totalmente dipendente della leadership personale dei pochi che sono
visibili a tutti e che operano secondo ciò che più tira o attira
l’opinione - senza un programma o meglio con il programma dettato dai
sondaggi, un programma di rimessa, non autonomo. E soprattutto, senza
una linea di demarcazione che con regole condivise tolga ad alcuni, ai
leader, il potere arbitrario di decretare chi è e chi non è corrotto,
chi merita e chi non merita l’espulsione.
Un partito-non-partito
non promette e non ha alcuna continuità di giudizio, per cui, per
esempio, mentre i leader parlamentari o nazionali seguono le logiche del
più navigato opportunismo politico (con l’occhio fisso ai sondaggi) i
grillini-del-popolo- ordinario hanno una matrice di civismo che è
ammirevole. Iper-politicismo negli uni e iper-purismo negli altri, che
non hanno incarichi pubblici e sono “gente comune”. L’esito di questo
sdoppiamento è purtroppo quello di favorire una dissociazione insanabile
fra il dire e il fare che fa molto male al senso del pubblico e del
governo della cosa pubblica, quindi a tutti, non solo ai grillini.
Questo è l’esito che produce un movimento post-moderno nel senso vero
del termine: che pratica l’assoluta contingenza delle scelte, ovvero che
segue quel che l’opinione pubblica qui e ora chiede o vuole; e che è
senza fondamenti, ovvero relativista al massimo grado, senza principi
che sappiano muovere non tanto e solo le parole, ma soprattutto le
azioni. In sostanza il problema del M5S (un problema per il paese vista
la presa politica che ha) è di essere totalmente eteronomo o
eterodiretto: determinato da quel che fa crescere nei sondaggi. Come
affidarsi a un movimento senza un’autonomia di principi, nel quale solo
la moneta della popolarità sembra aver corso?