Repubblica 15.5.16
A Renzi ricordiamo: l’Italia ha costruito L’Europa
di Eugenio Scalfari
QUALCHE
amico laico e miscredente mi ha avvertito alcuni giorni fa che io parlo
e scrivo con troppa frequenza di papa Francesco e ad un pubblico come
il nostro di Repubblica e dell’Espresso non piace.
Al mio pubblico
io tengo molto, ma non si tratta né di una civetteria né d’un
improvviso mutamento di opinione. E tantomeno d’una nuova linea del
nostro giornale e del nostro editore. Si tratta invece di Francesco
Vescovo di Roma e Capo di santa romana Chiesa. Dopo averlo conosciuto la
prima volta sette od otto mesi dall’inizio del suo pontificato, a
chiusura del nostro primo colloquio gli chiesi: «Santità, qual è la
funzione delle donne nella vostra Casa? Non parlo soltanto delle suore
che vivono in conventi, operano negli ospedali, coltivano la terra e
soprattutto pregano; parlo delle donne in generale, dei loro sentimenti,
dei loro pensieri e del loro istinto femminile ed anche, se mi
permette, dei loro diritti. Per voi, presbiteri, vescovi, sono nulla?
Sono una specie subordinata in compiti di moglie, madre, figlia
obbediente alle decisioni dei genitori».
«Le rispondo in un solo modo che rispecchia però la pura verità: la Chiesa è femminile».
Risposi
che non capivo e Lui a sua volta, scandendo le sillabe, ripeté: «La
Chiesa è femminile. Maria è la nostra madre che intercede per noi; ma
non è solo questo. La Chiesa detesta la guerra, ama i propri figli, li
educa al bene, aiuta i poveri, i malati, i derelitti, ama il prossimo e
detesta chi violenta. Non sono valori femminili?».
LEI LO dice ed è
certamente vero, ma nella Chiesa dove pure questi valori ci sono, anche
se non sempre, ma in tutte le epoche: e non da parte di tutti i suoi
membri, le donne non hanno alcuna importante funzione. Neppure le suore
dei vari ordini. Sono centinaia di migliaia in tutto il mondo ma contano
niente. Dipendono da un presbitero o da un suo delegato. Non capisco il
senso di tutto ciò se la Chiesa è femminile come Lei dice e pensa».
Stavamo
salendo la breve scala che dalla sala di Santa Marta arriva al portale
d’uscita ed eravamo fermi a metà. Fuori – ricordo – c’erano nuvole e
lembi d’azzurro. Francesco disse: «Lei ha ragione. La tradizione dei
secoli si è fatta lì, non è opera delle donne, e non riconosce i loro
diritti nella Chiesa e nella vita».
«Non sarà una battaglia facile, Santità».
«Temo
di no e non credo per cattiveria ma perché le tradizioni fanno parte
della storia di ogni comunità e spesso diventano dottrina. Per aprire le
porte ci vuole del tempo, questo del resto è uno degli obiettivi del
Vaticano II. Quando venni insediato il compito che mi è stato assegnato
fu proprio quello di portare a termine le indicazioni di quel Concilio,
la principale delle quali è l’incontro con la modernità. Questo è ciò
che mi sento di dirle. Lei però non parli di questo fino a quando
l’opera che intendo svolgere non sarà cominciata». Fu in quel momento e
su quel tema che diventammo amici. Francesco arrivò alla porta d’entrata
e la mia automobile mi attendeva. Lui mi abbracciò ed io feci
altrettanto, profondamente commosso, e fu in quel momento che capii che
Francesco era un Papa rivoluzionario come pochi c’erano stati prima di
lui. Ora è cominciato nella Chiesa il movimento affinché le donne
partecipino alla liturgia nei limiti che sarà opportuno prevedere. Di
queste cose non debbo parlare? Io non credo e penso che anche i miei
lettori, tanto più se laici, vogliano i diritti per tutti e questa deve
essere una battaglia laica per eccellenza, ne sono sicuro e perciò vado
avanti.
***
Scritto questo prologo (che è per quanto mi
riguarda il tema ben più d’un prologo) vengo ad un problema che ho già
più volte trattato e recentemente nell’articolo pubblicato giovedì
scorso: l’Europa, i suoi guai, la sua drammatica disarticolazione, la
mancanza di uno spirito unitario che la rinsaldi e la faccia uscire
dall’abisso in cui sta cadendo.
Mi rivolsi a Renzi e alla sinistra
italiana (ed europea) affinché si dessero carico di questo
difficilissimo compito. Dalla sinistra non ho avuto alcun riscontro
salvo quello di Alfredo Reichlin che mi conosce e mi stima. Quanto a
Renzi, mi ha telefonato (del tutto inconsueto) dicendo che il tema
Europa è appunto centrale come lui ha già compreso e ad esso si
dedicherà con il massimo impegno per risvegliare lo spirito dei
fondatori (Adenauer, De Gasperi, Schuman) e l’ideale di Altiero
Spinelli. Se i suoi dissidenti faranno altrettanto, come si augura, il
partito marcia compatto verso un traguardo che, se raggiunto, risulterà
una vittoria storica dell’Italia moderna. Poi si è parlato d’altro e
spesso da posizioni contrastanti, ma su questo non ho da riferire, le
comunicazioni sono private ed io questa la considero tale. Renzi del
resto fa altrettanto.
A proposito del nostro ruolo in Europa ci
sono però alcune cose della massima importanza storica che debbono
essere ricordate. Gli italiani (e gli europei con un minimo di cultura)
li conoscono ma spesso non ci pensano e di fatto se scordano. Dunque
parliamone noi.
Anzitutto siamo tra i Paesi fondatori dell’unione
della Comunità del carbone e dell’acciaio e tra i cinque Paesi che
firmarono i trattati di Roma nel 1957. Ma c’è un precedente molto più
antico che cominciò duemila anni fa ai tempi di Giulio Cesare, Augusto,
Germanico, la conquista della Gallia e della Spagna, della costiera
mediterranea africana, della Germania, fino a Traiano e poi Adriano che
segnò i confini dell’Impero ivi compresa una parte meridionale
dell’attuale Gran Bretagna, l’Egitto, il Medio Oriente, e ovviamente la
Grecia, l’Illiria e i Balcani.
Prima di allora l’Europa era un
continente percorso da popolazioni vaganti e selvatiche, prive di
residenza e dedite al saccheggio di regni e città che venivano rase al
suolo.
Da questo punto di vista è Roma ad aver costruito l’Europa.
Sono passati i millenni, ma purtroppo in vario modo anche per la più
becera demagogia destinata ad influire sulla conquista del potere.
Questo accade sempre e dovunque, ma resta il fatto storicamente avvenuto
che l’Europa è nata dall’esistenza di quell’Impero e delle sue
propaggini civilizzate. Perfino il Cristianesimo diventò l’unica
religione europea proprio nei medesimi territori imperiali. Tant’è che
nell’800 d. C. Carlo Magno resuscitò il Sacro Romano Impero, votato dai
principi tedeschi e della Renania ma legittimato dall’imposizione della
corona sulla fronte dell’imperatore da parte del Papa dell’epoca in San
Giovanni in Laterano.
Tempi remoti, ma è bene non dimenticarseli perché resta il fatto che l’Europa è nata dall’Impero dei Cesari.
C’è
dell’altro però, più moderno e di non minore importanza. Si chiama
Rinascimento e si svolge tra l’inizio del Quattrocento terminando
all’inizio del Seicento diffondendosi dall’Italia in tutta Europa:
cultura, reperimento di testi antichi (cardinal Bellarmino), diffusione
della stessa lingua nelle sue trasformazioni locali in tutti i paesi
latini (Italia, Francia, Spagna, Portogallo), scienza politica, scienza
storica, scienza astronomica, pittura, musica. I nomi nei vari settori
sono noti: al vertice trecentesco troneggia Dante. Esiste una triade che
non si può eguagliare e in ordine di tempo si tratta di Omero (o chi
per lui), Dante, Shakespeare.
Ma poi in Italia Petrarca,
Machiavelli, i Medici, le corti d’Este e di Urbino, i comuni di Lucca e
soprattutto di Firenze, Milano. E non dimentichiamo i nomi di Piero
della Francesco, Raffaello Sanzio, Ariosto, Vico. Montaigne conservava
molti dei loro volumi nella sua libreria e del resto dopo di lui la
cultura moderna che sfocerà nell’Il-luminismo franco-inglese comincia
con Vico. A quell’Illuminismo noi abbiamo partecipato con i fratelli
Verri, con Cesare Beccaria e con l’abate Galiani.
In sostanza
Italia ed Europa sono nate insieme e il nostro Paese ha dato uno dei
contributi maggiori e forse il primario rispetto ad altri insieme alla
Francia, alla Spagna e all’Inghilterra, senza ricordare le Repubbliche
marinare di Venezia e di Genova, Cristoforo Colombo compreso.
Per
questa ragione noi dobbiamo batterci e ne abbiamo pieno diritto e titolo
per l’Europa unita; il risultato caro Renzi non sarà certo immediato ma
dà al nostro Paese un ruolo che altrimenti non avrebbe e che può
rendere l’intera politica italiana diversa da quella che finora è stata.
Spero che tu te ne ricordi e ne tragga i frutti facendo risorgere il
nostro continente dalle rovine nelle quali attualmente si trova.