Repubblica 12.5.16
Il progetto di Putin deviare i fiumi della Siberia per dissetare la Cina
Opere simili erano state nei programmi dello zar e di Breznev
Le sanzioni occidentali hanno trasformato Pechino nel “nuovo alleato” del Cremlino
Allarme danni ambientali
di Nicola Lombardozzi
MOSCA
SECONDO i versi di un’antica canzone sovietica, «anche il fiume scorre
là dove vogliono i bolscevichi ». Una fissazione tutta russa, quella di
invertire la rotta delle acque, e di modificare la natura a proprio
piacimento. Risale ai tempi dello zar, fu perseguita ossessivamente da
quasi tutti i dirigenti dell’Urss, e ritorna di tanto in tanto anche
nella Russia di oggi. Ieri, a rievocare il fantasma dell’inquietante
progetto contronatura, ci ha pensato Aleksandr Tkacjov, inviato speciale
di Putin in Cina per preparare la prossima visita presidenziale.
Pur
di ingraziarsi quelli che le sanzioni occidentali hanno trasformato nei
“nuovi alleati” del Cremlino, il rappresentante del governo di Mosca ha
promesso di risolvere l’eterno problema della siccità nella provincia
agricola dello Xinjiang- Uygur. E come? Con l’inversione di una parte
del fiume Ob, il quinto più grande del mondo. Un colossale corso
d’acqua, dieci volte l’Italia, che scorre naturalmente verso Nord dai
Monti Altaj attraverso la Siberia Occidentale fino a sfociare nel mar di
Kara nel Circolo Polare Artico. Secondo Tkacjov il fiume Ob e il suo
affluente Irtysh potrebbero essere parzialmente deviati grazie alla
costruzione di un canale lungo oltre 1100 chilometri che attraverserebbe
il Kazakhstan per raggiungere le aride terre cinesi. Con un flusso di
circa un miliardo di metri cubi l’anno.
Gli applausi dei dignitari
di Pechino hanno interrotto le dichiarazioni ufficiali, consentendo al
ministro di glissare sui particolari e sulle conseguenze ambientali
dell’opera. Ma in Russia le sue frasi hanno lasciato il segno e riaperto
la polemica. Esperti di ogni estrazione politica, anche molto vicini al
Cremlino, si sono indignati e preoccupati. Durissimo, il giornale di
opposizione Novaja Gazeta che accusa il ministro di tradimento degli
interessi nazionali. E avanza ipotesi abbastanza circostanziate di
possibili “mazzette” in arrivo da parte di grosse aziende cinesi. Novaja
Gazeta che fu il giornale di Anna Politkvoskaja, reporter anti Putin
assassinata dieci anni fa, ha del resto come socio onorario Mikhail
Gorbaciov che nel 1986 impose l’archiviazione di ogni stravagante
progetto di far andare i fiumi all’incontrario temendo “disastri
ecologici senza precedenti”.
L’idea risale addirittura al 1830
quando uno scienziato di Kiev propose allo zar Nicola Primo, di
utilizzare l’acqua dei fiumi siberiani per irrigare le aride terre,
allora russe, del Kazakhstan e dell’Asia centrale. Erano tempi in cui
nel mondo si parlava con grande entusiasmo di realizzare i canali di
Suez e di Panama. Ma, valutati i pro e i contro, gli scienziati di corte
stabilirono già allora che invertire l’andamento di enormi portate
d’acqua avrebbe sconvolto l’equilibrio idrogeologico, allagato per
sempre grandi vallate e portato all’estinzione decine di popolazioni che
tutt’ora abitano quei luoghi sperduti e imponenti dalle parti degli
Altaj.
Ma la fissa dell’inversione di rotta non finì. Stalin fu
assillato da richieste di scienziati sovietici che vedevano nella
operazione l’unico soluzione al problema dei raccolti. Ma, pur non
avendo grande considerazione dell’ambiente, anche Stalin rinviò ogni
decisione su suggerimento dei suoi consiglieri. La suggestione comunque
non si estinse. Ne fu entusiasta il contadino Krusciov, la prese molto
sul serio Breznev che non si fece scoraggiare dagli esperimenti deleteri
di alcune centrali idroelettriche che hanno devastato flora e fauna
della Siberia centrale.
Ma perché adesso Putin vorrebbe riaprire
un capitolo che sembrava chiuso? Certamente, dicono gli esperti, per
compiacere i cinesi. E soprattutto le loro aziende specializzate in
opere di ingegneria idraulica che, ragionevolmente conquisterebbero
tutti gli appalti milionari in palio. Da tempo Pechino sogna di popolare
sempre più tutte le zone confinanti con la Russia mirando allo
sfruttamento di zone che Mosca ha speso abbandonato al proprio destino.
Le mire politiche ed economiche sono evidenti. Ma le possibilità di
realizzazione sono vaghe e cariche di rischi. Evgenij Simonov, esperto
di idrogeologia e rappresentante russo della Ong “Fiumi senza frontiere”
non ha dubbi: «Si tratta di una pagliacciata non priva di qualcosa di
losco. Servirebbe solo a favorire l’economia cinese. Perché allora non
pensare a irrigare le nostre terre aride e sviluppare una buona volta
l’agricoltura invece di comprare tutto all’estero?». Anche il progetto
tecnico sembra irreale: «Bisognerebbe fare andare l’acqua in salita per
un migliaio di chilometri. Con inevitabili allagamenti di aree abitate o
comunque in qualche modo coltivate ». Il Cremlino tace. Il ministro
dell’agricoltura pure dopo aver eseguito il compito di sollevare il
problema. I russi, per il momento, bocciano comunque ancora una volta
l’ipotesi “fiumi in retromarcia”.