Repubblica 11.5.16
Quando Roma val bene una messa
“Marchini è e vuole restare in futuro il candidato più vicino al Vaticano”
di Stefano Folli
C’È
un filo sottile che collega la legge da tempo attesa sulle unioni
civili e la campagna per le amministrative: specie a Roma, dove la città
laica e la città vaticana s’intrecciano e il Tevere è più largo o più
stretto a seconda delle circostanze. Il filo è costituito dal voto
cattolico e dal peso della Santa Sede. Entrambi non sono più decisivi
come un tempo, ma esistono ed è rischioso sottovalutare sia l’uno sia
l’altro. La coincidenza vuole che la Camera si appresti a esprimere il
voto finale sulle unioni civili proprio mentre la campagna elettorale
entra nel vivo. Sappiamo che non si tratta di un vero e proprio
matrimonio omosessuale, bensì di un punto di compromesso raggiunto con
fatica al Senato. Un compromesso che si teme possa essere incrinato da
un qualsiasi incidente di percorso, ossia dal primo emendamento che in
aula supera il filtro governativo. Di qui il ricorso immediato al voto
di fiducia: un’iniziativa sempre sgradevole, soprattutto quando il
governo ne fa un uso eccessivo e in questo caso addirittura preventivo.
Ma il dibattito di merito aveva dato tutto quello che poteva dare nelle
due letture precedenti a Montecitorio e a Palazzo Madama.
Riaprire
il vaso di Pandora rischiava di mandare all’aria il castello di carte.
Nessuno nella maggioranza renziana, fra i laici non meno che fra i
cattolici, aveva voglia di tentare la sorte. Tantomeno di offrire alle
opposizioni un argomento per la campagna elettorale. L’aver posto la
questione di fiducia disinnesca il pericolo e lo riduce a qualche ora di
nervosismo e di polemiche in Parlamento.
Tuttavia, come si
diceva, esiste il voto cattolico. Per meglio dire, esiste il voto di
quella parte dell’opinione pubblica che non considera le unioni gay una
priorità ed è anzi contraria a tutto ciò che le assimila al matrimonio
tradizionale, anche nella scenografia. A Roma questo stato d’animo è
rafforzato dalla contiguità con il Vaticano. La Chiesa, attraverso la
Cei, non ha fatto mancare le sue critiche al testo in via di
approvazione. Prima con il cardinale Bagnasco e ancora ieri con il
“bergogliano” monsignor Galantino. Si è capito che almeno nella capitale
la questione resta calda e quindi potrebbe spostare un certo numero di
voti. Quanti, è difficile dirlo. Ma Alfio Marchini ritiene che possano
essere parecchi, a giudicare dalla tempestività con cui è balzato sulla
materia. Anche a costo di qualche incoerenza con il se stesso di qualche
tempo fa, quando usava toni molto più amichevoli verso il mondo gay.
«Da
sindaco non celebrerò le unioni civili », ha detto il candidato del
centrodestra “moderato”. Frase ambigua, ma utile a mandare un messaggio
oltre Tevere. Marchini è e vuole restare in futuro il candidato più
vicino al Vaticano, nonché il più capace di riunire l’opinione cattolica
e quella conservatrice. Cosa poi voglia dire in concreto
quell’affermazione, è abbastanza chiaro. Escluso che Marchini voglia
infrangere la norma, visto che come sindaco sarebbe ovviamente tenuto a
registrare le nuove unioni civili, rimane una sola spiegazione. Saranno i
funzionari del Campidoglio a effettuare le registrazioni e senza la
cornice para-matrimoniale (musiche, fiori, confetti, eccetera). Il
sindaco se ne tirerà fuori, salvo che per gli obblighi di legge. Ne
deriva che siamo sul sentiero stretto dell’ipocrisia, cosa che in
campagna elettorale non sorprende nessuno. Roma val bene una messa.
Tanto più che di tutti i candidati in campo Marchini è il più idoneo a
raccogliere il favore del Vaticano. Esiste in proposito un precedente
che molti ricordano. Le sventure di Ignazio Marino cominciarono un anno
fa, proprio quando egli volle celebrare sotto le luci dei riflettori un
certo numero di unioni civili per lo più omosessuali. La sua era una
provocazione, o se si preferisce un sollecito al Parlamento perché
accelerasse l’iter della legge che solo adesso sta per essere approvata.
Ma l’iniziativa, peraltro piuttosto sfarzosa già nel titolo:
“Celebration day”, irritò non poco il Vaticano e in particolare il Papa
Francesco. Il quale di lì a poco avrà modo di manifestare pubblicamente
il suo fastidio nei confronti del sindaco. Con le conseguenze note a
tutti. Ovvio che i “matrimoni” celebrati da Marino non furono ritenuti
validi, in assenza di una legge. Oggi Marchini o qualunque altro sindaco
si troverebbe ad agire in un contesto del tutto diverso. Non ci sarebbe
motivo di forzature “laiche” e nemmeno di “obiezioni di coscienza”
cattoliche. Al più c’è margine per conquistare una fetta di opinione
pubblica, mentre sullo sfondo il Parlamento si accinge a scrivere
l’ultima parola di una lunga storia.