Repubblica 11.5.16
Roberto Scarpinato“
Il nostro compito è vigilare sui politici fedeli alla Carta più che alla legge”
Il procuratore di Palermo dissente da Legnini, il vicepresidente del Csm: “Le toghe possono partecipare al referendum”
“Con questa riforma la nostra giustizia può trasformarsi in ingiustizia”
“Davanti a noi c’è uno spartiacque storico. Nulla sarà come prima”
intervista di Liana Milella
ROMA.
«Se non capisci come funziona il gioco grande... sarai giocato». Il
procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, toga famosa per le
sue indagini sulla mafia, è convinto che i magistrati «debbano»
esprimersi sul referendum non solo perché «è un nostro diritto », ma per
la futura valenza che la riforma comporta.
Il vice presidente del
Csm Legnini (e altri con lui) dice che i magistrati non devono
impegnarsi nella campagna referendaria perché finirebbero nella contesa
politica. Che ne pensa?
«Mi permetto di dissentire. Forse a tanti
non è sufficientemente chiaro quale sia la reale posta in gioco che
travalica di molto la mera contingenza politica. A mio parere siamo
dinanzi a uno spartiacque storico tra un prima e un dopo nel modo di
essere dello Stato, della società e dello stesso ruolo della
magistratura. Nulla è destinato a essere come prima».
Cosa potrebbe cambiare nel futuro rispetto al passato?
«A
proposito del passato mi consenta di partire da una testimonianza
personale. Tanti anni fa ho deciso di lasciare il mio lavoro di
dirigente della Banca d’Italia e di entrare in magistratura perché ero
innamorato della promessa-scommessa contenuta nella Costituzione del
1948 alla quale ho giurato fedeltà ».
E quale sarebbe questa «promessa-scommessa »?
«Quella
scritta nell’articolo 3 di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e
sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei
cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana e
l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione
politica, economica e sociale del paese”. Era uno straordinario
programma di lotta alle ingiustizie e un invito a innamorarsi del
destino degli altri. La Repubblica si impegnava a porre fine a una
secolare storia nazionale che Sciascia e Salvemini avevano definito “di
servi e padroni” perché sino ad allora intessuta di disuguaglianze e
sopraffazioni che avevano avuto il loro acme nel fascismo e nella
disfatta della seconda guerra mondiale».
Sì, però l’attuale
riforma costituzionale si occupa solo della seconda parte della
Costituzione e lascia intatta la prima sui diritti. Cosa la turba lo
stesso?
«La seconda parte è strettamente funzionale alla prima.
Proprio per evitare che la promessa costituzionale restasse un libro dei
sogni e per impedire che il pendolo della storia tornasse indietro a
causa delle pulsioni autoritarie della parte più retriva della classe
dirigente e del ritardo culturale delle masse, i padri costituenti
concepirono nella seconda parte della Costituzione una complessa
architettura istituzionale di impianto antioligarchico basata sulla
centralità del Parlamento e sul reciproco bilanciamento dei poteri».
E perché tutto questo coinvolgerebbe le toghe? Realizzare la promessa non era compito della politica?
«All’interno
di questo disegno veniva affidato alla magistratura il ruolo strategico
di vigilare sulla lealtà costituzionale delle contingenti maggioranze
politiche di governo».
Un’affermazione forte... Ma di quale vigilanza parla?
«I
giudici, tra più interpretazioni possibili della legge ordinaria,
devono privilegiare quella conforme alla Costituzione e, se ciò non è
possibile, devono “processare la legge”, cioè sottoporla al vaglio della
Consulta. La magistratura italiana quindi è una “magistratura
costituzionale” e, in quanto tale, la sua fedeltà alla legge
costituzionale è prioritaria rispetto a legge ordinaria. È una
rivoluzione copernicana del rapporto tra politica e legge di tale
portata che a tutt’oggi non è stata ancora metabolizzata da buona parte
della classe politica che continua a lamentare che la magistratura
intralcia la governabilità sovrapponendosi alla volontà del Parlamento».
Con la riforma Renzi questo equilibrio potrebbe saltare?
«Alcune
parti di questa riforma si iscrivono in un trend più complesso. Oggi
tutto ciò rischia di restare solo una storia terminale della prima
Repubblica, perché quello che Giovanni Falcone chiamava “il gioco
grande”, si è riavviato su basi completamente nuove. Alla fine del
secolo scorso, a seguito di fenomeni di portata storica e mondiale, sono
completamente mutati i rapporti di forza sociali macrosistemici che
furono alla base del compromesso liberal-democratico trasfuso nella
Costituzione del 1948. Lo scioglimento del coatto matrimonio di
interessi tra liberismo e democrazia ha messo in libertà gli “animal
spirits” del primo che ha individuato nelle Costituzioni post fasciste
del centro Europa una camicia di forza di cui liberarsi».
Un attimo: cosa si sarebbe rimesso in moto?
«Si
è avviato un complesso e sofisticato processo di reingegnerizzazione
oligarchica del potere che si declina a livello sovranazionale e
nazionale lungo due direttrici. La prima è quella di sovrapporre i
principi cardini del liberismo a quelli costituzionali trasfondendo i
primi in trattati internazionali e trasferendoli poi nelle costituzioni
nazionali. Esempio tipico è l’articolo 81 della Costituzione che
imponendo l’obbligo del pareggio di bilancio impedisce il finanziamento
in deficit dello Stato sociale e trasforma i diritti assoluti sanciti
nella prima parte della Costituzione in diritti relativi, cioè
subordinati a discrezionali politiche di bilancio imposte da organi
sovranazionali spesso di tipo informale e privi di legittimazione
democratica. La seconda direttrice consiste nel trasferimento dei centri
decisionali strategici negli esecutivi nazionali incardinati ad
esecutivi sovranazionali, declassando i Parlamenti a organi di ratifica
delle decisioni governative e sganciandoli dai territori tramite la
selezione del personale parlamentare per cooptazione elitaria grazie a
leggi elettorali ad hoc. Il gioco dialettico tra maggioranza- minoranza
viene disinnescato grazie a premi di maggioranza tali da condannare le
forze di opposizione all’impotenza».
Questo è uno scenario politico. Perché ciò dovrebbe interessare la magistratura?
«Se
muta la Costituzione, cioè la Supernorma che condiziona tutte le altre,
rischia di cambiare di riflesso anche la giurisdizione. La magistratura
già oggi è sempre più spesso chiamata a farsi carico della cosiddetta
legalità sostenibile, cioè della subordinazione dei diritti alle
esigenze dei mercati, e quindi delle forze che governano i mercati.
L’articolo 81 della Costituzione ha costituzionalizzato il principio
della legalità sostenibile che si avvia a divenire una norma di sistema
baricentrica del processo di ricostituzionalizzazione in corso. La
conformazione culturale della magistratura al nuovo corso potrà essere
agevolata dalla possibilità di minoranze, trasformate artificialmente in
maggioranze grazie al combinato disposto dell’Italicum e di alcune
delle nuove norme costituzionali, di selezionare i giudici della
Consulta e la componente laica del Csm».
Cosa direbbe a un giovane magistrato oggi indeciso se impegnarsi nella campagna referendaria?
«Che
se non capisci come funziona il gioco grande, sarai giocato. Da
amministratore di giustizia rischi di trasformarti inconsapevolmente in
amministratore di ingiustizia».