Repubblica 10.5.15
La mossa a sorpresa della ministra “Bloccare i comitati anti-riforme”
La
titolare dei Rapporti col Parlamento punta a non far emergere tra i dem
un fronte contro la sua legge Il contrattacco della minoranza: “Vuole
solo metterci in un ghetto”
di Goffredo De Marchis
ROMA.
Non solo “o con me o contro di me”. Ma uno scontro tra il bene e il
male, tra il vecchio e il nuovo. «Uno scontro di civiltà, di cultura»,
dice Miguel Gotor. La minoranza del Pd, dietro le parole della ministra
Maria Elena Boschi, vede il disegno di Matteo Renzi in vista del
referendum costituzionale di ottobre. «Un modo per chiudere il Pd dentro
il recinto del Sì mettendo fuori tutti gli altri. Facendoli passare
come estremisti allo stesso mondo, dalla sinistra a Casa Pound a Grillo.
Mentre bisognerebbe fare il contrario quando si parla di Costituzione,
creare un fronte più largo», spiega Gianni Cuperlo. Il pericolo è quello
della ghettizzazione. «Certo, l’obiettivo è provocare la frattura
definitiva tra renziani e antirenziani - aggiunge il bersaniano Gotor -
come nel ventennio passato c’è stata la divisione tra berlusconiani e
antiberlusconiani. Un esempio lampante della subalternità culturale a
Berlusconi. Ma non ci faremo mettere nell’angolo. Il problema è tutto di
Renzi».
La Boschi punta a ribaltare questo schema. A bloccare sul
nascere l’ipotesi di un fronte del No dentro il Pd, mettendo dubbiosi,
scettici o tiepidi rispetto alla riforma dalla parte dell’estremismo
assoluto. Addirittura, quello di destra. «C’è un piano per indebolire le
ragioni del Sì», ripetono a Palazzo Chigi. Un piano immaginario secondo
la minoranza. Che non ci sta a farsi rinchiudere nel ghetto.
D’altronde, big hanno tutti annunciato il Sì alla consultazione di
ottobre. Con freddezza e senza pathos. Ma Sì. Enrico Letta, Pierluigi
Bersani, lo stesso Cuperlo, Roberto Speranza voteranno esattamente come
Renzi. Il punto semmai è la loro partecipazione attiva alla campagna
referendaria. «Il cambiamento della Carta è in netta contrapposizione
alla filosfia del con me o contro di me. Mi limito a suggerire a Renzi
una rotta diversa », dice Cuperlo. Questo, chiarisce, è il senso del
confronto con la Boschi, ovvero «non legittimare un altro che domani o
dopodomani voglia cambiare la Costituzione a colpi di slogan, tutto
qua». Le posizioni della sinistra coprono qualche tentativo di creare
comitati del No all’ombra del Partito democratico? Così si giustifica
l’attacco della titolare delle Riforme, una forma preventiva di “guerra”
al dissenso?
Speranza è convinto che migliaia di elettori del Pd
«siano orientati a votare No pur desiderando rimanere nel partito».
Questo vuole dire che c’è una base di elettorato contro la riforma e che
qualche dirigente, a livello locale, sarà tentato di dargli voce.
Michele Emiliano per esempio? Il governatore pugliese fa sapere agli
amici che lui starà dalla parte del Sì, ma senza impegno, «come Letta».
Chi starà sicuramente con il Sì è il renziano Piero Fassino. Ma Gotor lo
cita come esempio del boomerang lanciato dal premier. «Penso che
Fassino sia preoccupatissimo per la piega data da Renzi alla materia
incandescente della riforma. Conosco Torino, ho insegnato lì per qualche
anno. Ci sono dei pezzi del mondo torinese - osserva Gotor tutt’altro
che estremisti schierati per il No. Piero deve prendere anche quei voti
per vincere alle comunali di giugno e deve prendere quelli di tutto il
centrosinistra, Sel compresa, se vuole farcela ballottaggio. Secondo me
non può fargli piacere l’accostamento amministrative e referendum e
nemmeno la battuta infantile della Boschi».
L’accostamento con le
comunali però viene anche dalla minoranza. Se le cose andassero male,
s’indebolirà la linea oltranzista di Renzi, sarà più facile sostenere
un’apertura del Pd a tutte le posizioni. «Esistono 11 ex presidenti
della Corte costituzionale che dicono No alla riforma. Non li puoi
insultare come fossero degli skinheads», si ribella Speranza.
L’uscita
della Boschi può servire anche a stanare la freddezza, il distacco con
cui i leader della sinistra si schierano a favore della riforma. «Per
Matteo il referendum è anche il congresso del Pd. Le assise successive,
in caso di vittoria, sarebbero solo confirmatorie», dice il deputato
Dario Ginefra. E questo, sottolinea, «lo sanno anche coloro che
formalmente non possono che dire che, insieme a tutto il Partito
democratico, sono per il Sì».