La Stampa Tuttolibri 7.5.16
“Gli elettroni si eccitano come bambini che vogliono caramelle”
“La fisica è un romanzo: restituisce eleganza e bellezza nell’epoca in cui le vicende umane ci provocano angoscia”
intervista di Massimo Russo
Cosa
accadrebbe se attraversassimo un buco nero? Come morirà il sole? E se
arrivassimo alla fine dello spazio conosciuto, a 13,5 miliardi di anni
luce da noi, cosa troveremmo oltre? L’universo a portata di mano, in
viaggio attraverso la fisica dello spazio e del tempo risponde a queste
domande con la leggerezza di un racconto davanti al fuoco sulla
spiaggia. Christophe Galfard, il suo autore, parte da una promessa: una
sola equazione - quella della relatività di Einstein - e da
un’ambizione: nessuno rimarrà indietro. Galfard, dottorato in Fisica
teorica, ha studiato a Cambridge con Stephen Hawking. Insieme con lui e
con la figlia Lucy Hawking ha scritto il suo primo libro La grande
avventura dell’universo nove anni fa. Parigino, quarantenne, prima del
volume attuale ha poi pubblicato una trilogia di narrativa scientifica
per giovani adulti.
«L’universo a portata di mano» sta avendo grande successo, già 15 traduzioni. Se lo aspettava?
«Penso
sia in parte legato al periodo di entusiasmo per la scienza. Abbiamo
avuto scoperte ed eventi importanti, come la missione Rosetta,
l’individuazione del bosone di Higgs, la conferma della teoria delle
onde gravitazionali».
In particolare, perché la Fisica?
«Perché
restituisce un senso di bellezza, di eleganza, in un momento in cui
molte vicende umane provocano angoscia. Ci permette di capire il nostro
posto nel tempo. Tutto ciò è naturale».
In che senso?
«Pensate ai bambini. La conoscenza li rende felici. Non ho mai visto un bambino piangere perché ha imparato qualcosa».
Lei trasforma la Fisica in una narrazione, in una storia.
«Il
linguaggio della scienza è la matematica. Dunque per capire è stato
necessario che io stesso imparassi a dominarla. Ma una volta che ciò è
avvenuto ho sentito il bisogno di tradurla, di trasformarla. Sono
consapevole che questa, come ogni traduzione è imprecisa, nel farlo si
perde qualcosa. Ma le parole possono trasmettere le emozioni che
proviamo. Non è un modo esatto, ma può essere molto efficace. Del resto
nemmeno la scienza è esatta».
Come ha fatto a trovare il tono di voce?
«È
stato come individuare una strada, una traiettoria. Ho cercato di
rievocare quel che provavo da studente, quando mi misuravo con la
teoria».
La sua prosa è ricca di metafore poco ortodosse. Per
spiegare l’eccitazione degli elettroni fa l’esempio della trepidazione
di un gruppo di ragazzini a una festa per le caramelle. C’è una grande
attenzione alla ricerca dell’immagine efficace.
«È così. Alcune
analogie sono state difficili da trovare ma poi mi hanno convinto, come
quella della prozia che ogni inizio d’anno ci manda una sua foto, per
rappresentare la luce delle stelle che ci raggiunge dal passato».
In fondo è come se lei ci dicesse che la scienza appartiene a tutti.
«Ne
sono convinto. In questo c’è anche un valore politico. La scienza
appartiene a chiunque abbia voglia di essere curioso, di esercitare lo
scetticismo. C’è il valore del dubbio, nessuno scienziato pensa mai di
aver raggiunto la perfezione».
Quando scrive ha in mente un lettore?
«Penso
a un pubblico generalista, curioso, a principianti assoluti. A persone
confuse che abbiano voglia di trovare collegamenti, link. Provo io
stesso a fare il viaggio, senza equazioni, ma descrivendo quel che vedo
durante il cammino. È un racconto diverso da quello che fa, ad esempio,
Carlo Rovelli, autore delle “Sette brevi lezioni di fisica”. Il suo è
più filosofico».
Spesso tiene anche conferenze. Sono utili per la scrittura?
«Fondamentali. Quando ti trovi davanti al pubblico ti accorgi subito se riesci a tenere l’attenzione».
Cosa sta scrivendo ora?
«Ho due progetti. Uno di narrativa e uno scientifico. Ci vorranno un paio d’anni per sapere quale si concretizzerà prima».
Siamo
vicini ad armonizzare la teoria della relatività con la meccanica
quantistica, l’infinitamente grande con l’infinitamente piccolo?
«Se
mi sta chiedendo se ci stiamo avvicinando alla fine della Fisica, la
mia risposta è no. Non siamo più vicini di quanto non ne fossimo 400,
200 o vent’anni fa. Siamo in cammino».
L’intelligenza artificiale faciliterà le scoperte, i computer agevolano la strada?
«Ci
aiutano nella matematica, nella visualizzazione delle equazioni. La
tecnologia è d’ausilio in tutta la parte sperimentale, ma non
nell’elaborazione di nuove teorie».
Qual è la cosa più importante che le ha trasmesso Hawking?
«L’entusiasmo. E mi ha insegnato a credere nell’intuizione, a cercare sempre di applicarla».