sabato 28 maggio 2016

La Stampa TuttoLibri 28.5.16
Cassola e Calvino
La letteratura, religione dell’invisibile
di Bruno Quaranta

Fra le voci con cui Carlo Ossola dialoga in Italo Calvino. L’invisibile e il suo dove manca Geno Pampaloni. Ma subito, accostando questo esercizio di ammirazione del professore torinese, il «critico giornaliero» torna alla memoria. In particolare, la sua recensione di Palomar, sistemato «nello scaffale dei libri de religione», perché vi si testimonia «anche se tacitamente che la religione dell’ateo è la religione dell’assenza di Dio».
Assenza come inesistenza? A offrire un barlume di risposta è lo stesso Calvino lettore di Tolstoj, nella specie il racconto I due ussari, citato da Ossola: «Come nel narratore più astratto, ciò che conta in Tolstoj è ciò che non si vede, ciò che non è detto, ciò che potrebbe esserci e non c’è».
Non c’è, ossia non sussiste? Non c’è, ossia è invisibile? Non è, la parabola di Calvino, un’interrogazione infinita, ininterrotta? Che potrebbe riconoscere come divisa il «quaesivi et non inveni», ho cercato e non ho trovato, o non ho definitivamente trovato di derivazione - per contrasto - pascaliana? Non ebbe occasione, Carlo Ossola, di definire lo scrittore «matematico» di Ti con zero «esemplare nell’onorare pascalianamente la ragione eroica che sa descrivere i propri limiti mai rinunciando a essere ragione»?
Italo Calvino «sa» dove è l’«invisibile», non esita a riconoscerne la dimora (contribuendo ad arredarla, a inverarla, financo a sacralizzarla, antidoto contro il caos, il disordine, la blasfemia, ovvero la parola sfregiata): la letteratura. Il luogo per eccellenza del possibile, dove, per esempio, può assurgere a personaggio un «cavaliere inesistente».
La letteratura, l’ubi consistam dell’invisibile. Non a caso, forse, Carlo Ossola abbozza la lezione americana che Calvino non riuscì a «fare», «consistency», la coerenza delle «cose difficili, eseguite alla perfezione», giustificate nella loro pertinenza, nella giustezza, «secondo un disegno perfetto».
La perfezione, la «Terra Promessa», a cui non può non anelare chi denuncia la «peste del linguaggio», nella letteratura («e forse solo nella lettearatura») identificandone gli anticorpi. Perché, sa lo scrutatore della nostra Babele, «anche l’ultima città dell’imperfezione ha la sua ora perfetta». De religione.