giovedì 5 maggio 2016

La Stampa 5.5.16
“Fu la vendetta di Gheddafi per l’aiuto italiano a Malta”
Giuseppe Zamberletti, ex sottosegretario agli Esteri nel governo Cossiga “Nel 1980 l’isola era un protettorato libico, noi garantimmo la loro sovranità”
di Fra. Gri.

Si profilano novità su una vicenda che conosce bene. «Vedo... Ma questi documenti che sono stati desecretati sono un punto di inizio e non di arrivo. È proprio il caso di andare avanti». Giuseppe Zamberletti, classe 1933, è stato un protagonista della politica italiana. Dinamico dc quarantenne, nel 1980 era sottosegretario agli Esteri nel governo Cossiga e del crocevia libico-arabo-mediterraneo sa molto. È sempre stato convinto, e lo ha scritto anche in un suo libro («La minaccia e la vendetta», Franco Angeli editore) di una pista libica dietro le stragi di Ustica e Bologna.
Zamberletti, perché lei pensò a una mano libica?
«Torniamo indietro al 2 agosto 1980, data della strage di Bologna. Era il giorno in cui io, da sottosegretario, avrei firmato un accordo italo-maltese. L’accordo, che fu poi firmato regolarmente, prevedeva da parte italiana la garanzia militare sulla sovranità aerea e marittima di Malta. La notizia della bomba alla stazione di Bologna, che ci arrivò quando eravamo a La Valletta, mi diede subito la sensazione della vendetta contro l’Italia».
Perché una vendetta?
«I libici esercitavano fino a quel momento un protettorato di fatto su Malta. L’isola era piena di loro consiglieri militari. Il premier Dom Mintoff voleva emanciparsi, anche perché temeva un colpo di Stato da parte dei ministri più fortemente filolibici. La svolta però venne dalle prospezioni petrolifere, a cura di Saipem e Texaco. Gheddafi contestava le prospezioni perché riteneva che il mare attorno Malta fosse una piattaforma africana. I libici vennero anche alla Farnesina a protestare, considerando l’accordo un atto ostile. Dovemmo mandare due navi da guerra a protezione dei nostri».
Era quindi una partita molto pericolosa.
«Non per nulla i francesi, che anche loro inizialmente dovevano firmare l’accordo, si erano tirati indietro. Temevano la reazione di Gheddafi. A Parigi mi ricevette un sottosegretario e poi il ministro Jean François-Poncet. Mi dissero che non si fidavano di Mintoff, ma soprattutto che avevano già abbastanza contenziosi con la Libia in Ciad. Mi dissero: con la questione di Malta noi alzeremmo troppo la posta, ma voi italiani andate avanti. Ora a ripensarci mi sembra la nota barzelletta».
Scusi, ma perchè tutto questo interesse italiano per Malta?
«La partita era sponsorizzata da Bettino Craxi, che contava su Mintoff per gli equilibri dentro l’Internazionale socialista. In casa dc, invece, Emilio Colombo, che era presidente del Parlamento europeo, era contrario per gli stessi motivi dei francesi. Anche Andreotti, presidente della commissione Esteri, frenava in quanto temeva la reazione di Gheddafi. Mi telefonò per dirmi di non farne niente».
Qualcuno le disse di temere ritorsioni da parte di Gheddafi?
«Il direttore del Sismi, il generale Santovito, era preoccupatissimo. Mi volle parlare privatamente. “State attenti con la storia di Malta”, mi disse, “perché la Libia è molto irritata. Gheddafi considera Malta una cosa sua, e anche una porta di servizio per i suoi traffici clandestini”. Mi invitò a soprassedere. Disse: “Avete proprio deciso di grattare la schiena alla tigre....”. Il governo Cossiga però decise di andare avanti. E se oggi Malta è nella Unione europea e non in Africa, tutto cominciò quel giorno».
Ora esce questo documento del Sismi del 1978, che ci spiega che cosa era il «Lodo Moro», e soprattutto c’è l’interrogazione di Giovanardi e altri che chiede di rendere pubblico tutto il carteggio segreto fino all’estate del 1980.
«Quel documento è davvero molto interessante, ma chiaramente è solo un punto di partenza. Nel febbraio 1978 c’era dunque questo accordo tra italiani e palestinesi. I fatti di cui parlo io risalgono a due anni dopo. È però una grande novità, di cui all’epoca non avevamo assolutamente contezza, che ci fossero rapporti tra Gheddafi e certe schegge palestinesi. Noi sapevamo, all’opposto, che i libici erano in contrasto con i palestinesi. Evidentemente i servizi segreti ne sapevano più di noi, ma non ce lo dissero. All’epoca si pensava che ci fosse soltanto un rapporto diretto tra terroristi europei e libici. Sapevamo di campi di addestramento, di soldi, di armi. Non immaginavamo un network simile, una triangolazione con organizzazioni palestinesi. Noi pensavamo a piste alternative: o i libici o i palestinesi. Ora si capisce che forse erano la stessa cosa».
Ma a lei avevano parlato del «Lodo Moro»?
«Mai. Però alla Farnesina avevamo capito».
E Cossiga che cosa le diceva di queste stragi?
«Ne abbiamo discusso tante volte, anche animatamente. Cossiga, che si riteneva il padre putativo dell’intelligence italiana, ed era il presidente del Consiglio, non riusciva ad accettare l’idea che i “suoi” servizi segreti avessero lavorato male».