mercoledì 4 maggio 2016

La Stampa 4.5.16
Un’emergenza da affrontare senza ritardi
di Marcello Sorgi

Ieri è stato il turno del sindaco di Lodi, l’arrestato del giorno, il successore, in quanto già suo braccio destro, dell’ex primo cittadino Lorenzo Guerini, oggi alla guida della macchina del Pd come vicesegretario, per sua fortuna completamente fuori dall’inchiesta che ha portato a tre, nel giro di una settimana, gli scandali che dalla periferia risalgono fino al vertice di Largo del Nazareno.
Cosa possa fare Renzi di fronte a questa escalation della corruzione e dell’illegalità nel centrosinistra, è difficile dire, ma certo qualcosa deve fare. L’idea che la bandiera del «Daspo» per i corrotti, dal nome delle misure di sicurezza che si adoperano negli stadi di calcio contro i violenti, sia passata dalle mani del premier, che genialmente l’aveva lanciata quasi due anni fa, a quelle del Movimento 5 stelle, dovrebbe risultargli inaccettabile.
L’ipotesi che si tratti di una forma persecutoria dei magistrati che non gli hanno perdonato il taglio delle ferie e l’accusa, ormai passata, di non essere dei gran lavoratori, semplicemente non sta in piedi. Anzi, guardati da vicino, questi Uggetti, questi Bonafede, questi Graziano, per chiamarli con i loro nomi insignificanti, somigliano tragicamente al ritratto, che pareva esagerato e invece non sembra più tale, fatto da Pier Camillo Davigo, il magistrato di Mani pulite assurto al vertice dell’Anm, quando ha detto che neppure si vergognano di quel che fanno.
Uggetti, per dire, alle prime avvisaglie dell’inchiesta su una piscina comunale che voleva edificare insieme a un avvocato del Comune, referente di una società sportiva per il quale era stato apparecchiato un appalto su misura, aveva convocato, per blandirlo e insieme per avvertirlo, il colonnello della Finanza che poi ha dovuto arrestarlo, tanto che il magistrato lo ha definito «soggetto autoritario» e lo ha mandato in carcere nel timore che potesse tentare di intimidire chi investigava su di lui.
Quanto a Bonafede, consigliere comunale di Pozzallo, paese di immigrazione clandestina vicino a Ragusa, lo hanno beccato con venti chili di hashish e marijuana mentre si imbarcava su un traghetto per Malta, e ha avuto la faccia tosta di sostenere che gli serviva per uso personale. Di Graziano poi, presidente regionale del partito in Campania, e della storia del palazzo garibaldino di Santa Maria Capua Vetere, da restaurare con un appalto tangentizio, si sa. Il complice, anche in questo caso, era un sindaco arrestato, in rapporti con la camorra.
Si dirà che non bisogna generalizzare, ogni famiglia ha la sua pecora nera, e sarà pure così, ma qui è diventato un gregge che s’ingegna e ne combina di ogni tipo. E quando si passa da uno scandalo al mese a quasi uno al giorno, quando i sintomi si manifestano in tutto il corpo e non solo in una sua parte, quando i metodi sono gli stessi, da Napoli a Lodi, che bisogna pensare? Che partito è quello in cui in una settimana saltano fuori un oliatore di fondi pubblici in combutta con un sindaco corrotto, uno spacciatore di droga che sta in consiglio comunale come secondo mestiere e un cucitore di appalti prêt-à-porter? Renzi forse non ha fatto in tempo a conoscere, né poteva immaginare, proiettato com’è stato, in poche settimane, dalla segreteria al governo, in che modo è ridotta la periferia del partito, di che pasta sono fatti i quadri a cui è affidata l’amministrazione degli enti locali. È da questo insieme ormai irriconoscibile, senza più quasi nulla delle vecchie matrici democristiana e comunista da cui il Pd ebbe origine, che emerge, ormai tutti i giorni, alla vigilia delle elezioni amministrative, una questione morale grande come una casa: con la quale Renzi deve necessariamente, subito, fare i conti.