La Stampa 18.5.16
Boom di investimenti all’estero
La Cina sorpassa gli Stati Uniti
Nel 2016 già 98 miliardi di acquisizioni, contro 95 dell’anno scorso
di Cecilia Attanasio Ghezzi
Assicurazioni
Anbang, ChemChina, Dalian Wanda, Alibaba. Se non li avete mai sentiti,
dovete cominciare a familiarizzare con questi nomi. La prossima volta
che dovrete citare un gigante nell’industria alberghiera, non sarà
Hilton a venirvi in mente, ma Anbang. Per le biotecnologie agrarie,
invece della Monsanto sarebbe più corretto fare il nome di ChemChina. E
via così. La lunga marcia della seconda economia mondiale verso il
successo passa anche da acquisizioni estere che ormai superano quelle
degli Stati Uniti. E il ritmo ha subito un’accelerazione sorprendente.
Nei primi cinque mesi del 2016, gli investimenti cinesi all’estero hanno
superato quelli di tutto il 2015. Si tratta di 98 miliardi di euro,
contro i 95 dei dodici mesi precedenti. E c’è un altro dato da valutare.
Il totale degli accordi del 2016, è di «appena» 281, contro i 611 di
tutto il 2015. Significa che le acquisizioni si sono fatte di volta in
volta più importanti. I dati di Dealogic dimostrano come gli
investimenti cinesi all’estero rappresentano oramai il 26,4% del totale
mondiale.
L’esempio più importante è l’accordo da 38 miliardi di
euro tra ChemChina e la svizzera Sygenta. Ma ci sono anche gli 11,5
miliardi con cui Anbang si è assicurata la catena di alberghi Starwood,
per intenderci quella del St. Regis, e gli oltre 3 miliardi con cui la
Dalian Wanda è diventata azionista di maggioranza di una delle società
di produzione più famose di Hollywood, la Legendary Entertainment. Gli
studios che hanno prodotto, tra gli altri, la trilogia di Batman diretta
da Christopher Nolan, Godzilla e il replug di Superman «L’uomo
d’acciaio».
Ma a cosa è dovuta quest’impennata nelle acquisizioni
all’estero? Le ragioni sono più d’una. Insieme alle aziende, gli uomini
d’affari cinesi comprano la qualità e la tecnologia di marchi di
prestigio e, contemporaneamente, si inseriscono in nuovi mercati.
Inoltre così facendo, accrescono il softpower della Repubblica popolare.
Per questo hanno il beneplacito del governo. Sul lungo termine sono
investimenti che andranno sempre di più a intercettare la crescente
classe media cinese che sempre più spesso viaggia all’estero e compra
beni di importazione.
Ma c’è un’altra ragione, più spesso taciuta.
Sono un modo per assicurarsi che gli ingenti capitali accumulati nei
trent’anni del «miracolo cinese», ora che l’economia rallenta, lascino
il Paese per andare verso destinazioni più redditizie. Inoltre, la
moneta locale ha subito una serie di deprezzamenti che molti leggono
come una mossa del governo per rinvigorire le esportazioni che languono.
Se quest’interpretazione fosse corretta, comprare all’estero
diventerebbe in prospettiva sempre meno conveniente. Bisogna dunque
affrettare i tempi. Una motivazione che spiegherebbe anche l’impennata
di acquisizioni degli ultimi mesi. C’è un dato che andrebbe a
corroborare questa tesi. Il 61% degli investimenti cinesi
nell’immobiliare sono all’estero. Ma diverse agenzie hanno recentemente
avvertito che il fenomeno è destinato a scemare. Già il primo trimestre
di quest’anno si è registrato un -20% sullo stesso periodo dell’anno
scorso. La prima a patire l’effetto dell’indebolimento dello yuan è
proprio la classe media.