Internazionale 1151 | 29.4.16
L’amore ai tempi di Xi
Sesso, notti brave e startup nella Cina della deriva dittatoriale
Godere è glorioso cenni di rivoluzione tra le lenzuola cinesi
di Cecilia Attanasio Ghezzi
SHANGHAI.
Di tanto in tanto, nelle periferie delle metropoli cinesi, si ha
notizia della confisca degli strumenti necessari per una radio pirata e
dell’arrestodipersonea essalegate.Questeradio non fanno
controinformazione. Vendono pubblicità del prodotto più falsificato al
mondo: il viagra. Quello vero costa tra i 7 e i 10 euro a dose, troppo
per la gran parte dei cinesi adulti. E abbassare il prezzo di base
significa triplicare le vendite. Il mercato esiste, ed è in espansione.
Perché dopo gli anni castigati del maoismo, quando alle masse non erano
concesse pulsioni altre che quelle rivoluzionarie, fare sesso per puro
piacere è tornato a essere accettato e praticato. n Anzi. Nonostante la
bigotta censura del Partito, negli ultimi vent’anni la relazione dei
cinesi con il sesso è completamente cambiata. Ed è forse più vicina a
quella che era nell’antichità. «Ho compilato la prima statistica nel
1989. Allora solo il 15% degli intervistati aveva fatto sesso prima del
matrimonio. Ho riproposto lo stesso questionario un paio d’anni fa. La
percentuale aveva superato il 70%». Con un passato di studi negli Stati
Uniti e un’indole personale naturalmente portata alla sperimentazione e
alla provocazione, l’ormai 64enne Li Yinhe è stata la prima sessuologa
ad affermarsi nella Repubblica popolare. La sua teoria è che la politica
che per trent’anni ha obbligato le coppie cinesi a un unico erede, ha
di fatto concorso a scindere il sesso dall’atto della riproduzione. «Il
giallo e il nero (in Cina colori associati rispettivamente al sesso e
alla politica, ndr) rimangono tutt’oggi i criteri guida della censura.
Ma un tempo si poteva essere condannati a morte per favoreggiamento
della prostituzione e oggi, il massimo che accade, è che impediscano
agli affari di proseguire. Solo negli anni Ottanta la pena capitale era
prevista anche per chi organizzava orgie, festini e scambi di partner.
Oggi quasi la totalità dei giuristi e dei sociologi è convinta che la
politica debba rimuovere i crimini sessuali», sostiene. La stessa Li
parla di una «rivoluzione». Si pensi che prima del 1997 la pornografia,
la prostituzione, lo scambismo e il sesso prima del matrimonio erano
considerati reati. Per non parlare dell’omosessualità, che è stata
comunque nella lista delle malattie mentali fino al 2001. Oggi sono
comunque punibili ma con pene spesso meno severe di quelle riportate
sulla carta e, cosa forse ancora più importante, nella maggior parte dei
casi non vengono denunciati. Le rare notizie di questo tipo di reati ci
fanno capire che si rischia al massimo qualche mese di detenzione. E
spesso sono più legate alla volontà di ricatto che al sesso in sé. Come
nell’epoca imperiale, infatti, a un uomo di potere non basta una sola
moglie. Mao che da bravo comunista voleva la parità dei sessi, aveva
posto fine alla pratica «decadente e borghese» delle concubine, ma nel
privato si divertiva non poco. E così continuano a fare i suoi
successori. Le concubine di oggi si chiamano ernai, che letteralmente
significa «seconda donna», e sono molte più di quanto si pensi. Una
ricerca di qualche anno fa dell’Univer - sità del popolo di Pechino
metteva in luce come il 95% dei funzionari aveva avuto relazioni
extraconiugali a pagamento e il 60% aveva mantenuto almeno un’amante. Di
esempi ce ne sono a non finire. Dal funzionario che nel 2002 ha indetto
la prima (e unica) competizione annuale per decidere quale delle sue 22
amanti fosse la più piacevole, a Liu Zhijun ex ministro delle Ferrovie
condannato all’ergastolo per aver preso tangenti per un valore di 3,6
milioni di euro e per aver mantenuto 18 amanti. Anche nel processo più
sensazionale degli ultimi anni, quello all’ex principino rosso Bo Xilai,
condannato all’ergastolo per corruzione, tangenti e abuso di potere,
una delle accuse era quella di aver avuto «rapporti sessuali impropri
con un certo numero di donne». Una frase tanto bigotta da essere
divenuta immediatamente virale in rete. La gente comune sa che i
politici di professione non finiscono in galera per una mazzetta o per
un’amante. Per gli uomini d’affari concludere una cena in un bordello o
viziare un cliente importante offrendogli belle donne è più frequente di
quanto si possa immaginare. E la popolazione è ormai sempre più
smaliziata. Se nel 1992 ha fatto notizia l’apertura del primo sexy shop a
Pechino, oggi i «negozi per adulti» sono presenti a ogni angolo di
strada. Il consumo di vibratori è così alto che si trovano assieme ai
preservativi alle casse dei supermercati e nelle camere degli alberghi
più forniti. Le grandi metropoli organizzano fiere di sex toy da almeno
dieci anni. Quella a cui siamo andati la settimana scorsa a Shanghai era
promossa dall’Ufficio di panificazione famigliare del governo locale.
Alla «Fiera internazionale dei “giochi per adulti” per “una riproduzione
sana”», c’era di tutto: dalla realtà virtuale, alle bambole, dai
vibratori alle tute in lattice, dalle radici afrodisiache ai calchi in
silicone delle vagine delle pornostar giapponesi, dai distributori
automatici di sex toy alle essenze per bloccare l’erezione. Si
chiacchierava, si valutava la merce, si prendevano contatti e si
comprava. In soli tre giorni ci sono stati circa 30 mila visitatori
paganti: ragazzi e ragazze, coppie attempate e uomini d’affari che
curiosavano senza imbarazzo tra gli oltre 240 stand. Al di là dei
professionisti del settore, sembrava un supermercato qualunque. «È
paradossale», si confida Fu Sinan, responsabile vendite dell’azienda
produttrice di sex machine, Leco. «Il nostro sito in Cina è censurato,
ma questo è senza dubbio il nostro mercato di riferimento». Giornali e
televisioni, infatti, sono a tutt’oggi molto pudici sull’argomento e
qualsiasi forma di pornografia online è censurata. Il sesso può minare
la «moralità» dei cittadini e per quest non è mai esplicitato. Nessun
politico occidentale si sentirebbe minacciato da un libretto stile
Harmony che racconti le sue liaison sentimentali giovanili. Eppure pare
che sia proprio la minaccia di una pubblicazione sulla vita privata del
presidente Xi Jinping prima del matrimonio a portare allo scandalo
internazionale del “rapi - mento” dei cinque librai di Hong Kong. I
cinque, tutti legati alla casa editrice Mighty Current specializzata in
libri critici verso il Partito comunista cinese, sono ricomparsi in
custodia delle autorità cinesi nonostante non fossero cittadini cinesi e
nonostante due di loro si trovassero su un territorio diverso da quello
della Repubblica popolare al momento della scomparsa. C’è da
scandalizzarsi, ma non da stupirsi. Xi è a capo di uno Stato che non
ammette storie di una notte o scambi di coppia nei film e nelle serie
tv. Nelle sceneggiature una protagonista non può innamorarsi di più di
un uomo. Ancora l’anno scorso una serie tv ambientata all’epoca della
dinastia Tang è stata censurata perché il décolleté della protagonista
era troppo ampio. «La gente comune è più aperta ed educata del governo»,
si scalda subito Fan Popo in un’intervista telefonica. Classe 1985, gay
e attivista lgtb, è il regista di Mama Rainbow, un documentario che
esplora le relazioni tra sei madri e i loro figli omosessuali. Il suo è
un discorso amaro. Aveva condiviso il suo film su diversi portali cinesi
nel 2012 e in circa due anni aveva raggiunto un milione di
visualizzazioni. In molti si erano messi in contatto con lui per fargli
sapere come il suo lavoro era stato utile nel difficile percorso di
outing all’interno della propria famiglia. Ma a dicembre del 2014, il
video è sparito dal web cinese. I portali interessati hanno sostenuto di
aver ricevuto l’ordine dall’ufficio governativo che sovraintende ai
contenuti che possono andare online, in tv o nei film (Sarft) ma
quest’ultimo, portato in tribunale dal regista, ha negato di aver dato
qualsivoglia ordine in merito. Il regista sostiene di aver vinto la
causa, ma il film non è mai stato rimesso online. «Ciò non toglie che la
società civile ha fatto passi da gigante negli ultimi anni. Ancora nei
primi anni 2000, lgbt era una sigla sconosciuta alla maggior parte dei
cinesi. Oggi c’è persino una seguitissima serie tv sui rapporti gay tra
adolescenti». Addiction, così si chiama la serie in questione, è stata
vista da dieci milioni di persone prima che, lo scorso febbraio, il
governo la censurasse a tre episodi dalla fine. Se è chiaro che la
società cinese si sta liberando da molte sovrastrutture nei confronti di
tutto ciò che attiene alla sfera sessuale dei singoli, più difficile è
comprendere fino in fondo l’atteggiamento del Partito e del governo.
Come spiega il professor Federico Masini nell’introduzione di una
raccolta di antiche e inedite pitture erotiche cinesi (Il palazzo di
primavera, L’Asino d’Oro, 2015), «con la scusa di una sacrosanta
battaglia contro lo sfruttamento sessuale delle donne, la Repubblica
popolare ha voluto cancellare ogni memoria della tradizione letteraria e
artistica dell’erotismo cinese». Ne è esempio l’unico museo del sesso
della Cina. I suoi 1.400 artefatti «archeo-erotici» coprono quattro
millenni di storia. Nel 1999 sono stati raccolti in uno spazio al centro
di Shanghai. Nel 2001 sono stati traslocati alla periferia della città e
nel 2009 in un paesino, Tongli, a un paio d’ore di macchina di
distanza. Quando arriviamo ci dicono che il museo ha chiuso nel 2013 per
essere trasferito a Hainan, un’isola all’estremo sud della Cina, dove
però non ha ancora riaperto. Forse il Partito pensa che un dildo antico
può portare sulla cattiva strada più di uno moderno.
SI RINGRAZIA GLORIA GABRIELLI