Il Sole 8.5.16
Al via la riforma che cambia la famiglia
di Franca Deponti
Unioni
civili alla stretta finale: se le promesse verranno mantenute e il
testo votato al Senato da domani sarà blindato alla Camera, anche in
Italia tra pochi giorni le coppie omosessuali avranno un riconoscimento
dallo Stato.
Di fatto un matrimonio con qualche cosa in meno -
l’obbligo di fedeltà e la possibilità di adottare - e una via breve in
caso di crisi che permette di arrivare al divorzio senza passare per la
separazione.
Ma fuori dalla luce dei riflettori, tutti puntati
sulla battaglia per i diritti dei gay, la riforma Cirinnà cambia in modo
profondo il diritto di famiglia.
Basta, ad esempio, una semplice
dichiarazione all’anagrafe e le convivenze more uxorio diventano
convivenze registrate con attribuzione di vari diritti, tra cui la
successione nel contratto di locazione, la visita in ospedale e
l’assistenza reciproca, la permanenza nell’abitazione in caso di morte
del compagno. E il legame si può ulteriormente rafforzare con un
contratto che regoli le “partite” economiche.
Questo significa che
le formazioni familiari riconosciute a diverso titolo diventano tre:
matrimonio, unione civile (riservata alle persone dello stesso sesso),
convivenza registrata. Rimane invece fuori dall’orbita delle norme la
coppia di fatto “semplice”, salvo applicazione per analogia nei casi in
cui si dovesse finire in tribunale.
Cambia, insomma, il concetto
legale di famiglia, che si moltiplica perdendo contorni netti e noti. Si
modifica persino il diritto successorio, uno degli istituti più antichi
del Paese, formato su un concetto di parentela così ampia da risultare
anacronistica una volta conclusa (cento anni fa) l’esperienza della
famiglia patriarcale: il Codice civile dovrà infatti accogliere tra gli
eredi «necessari» anche il partner dell’unione civile.
Un cambio
di passo che avviene non senza controindicazioni, per almeno due motivi
di ordine diverso. Perché l’attribuzione di diritti e doveri, che si
accentua partendo dalle convivenze semplici per arrivare al matrimonio
vero e proprio, è vischiosa e sembra corrispondere più alla tendenza
nostrana di normare tutto (non scontentando del tutto nessuno) che a un
quadro legislativo meditato. E perché il salto è notevole, e forse oltre
le premesse, in un Paese dove i mutamenti della cosiddetta società
liquida convivono con un forte attaccamento alla tradizione, e la
giurisprudenza, nazionale ed europea, ha spesso dovuto fare da supplente
e da pungolo.
Una riforma, quella in arrivo, che presenta molte
aree grigie, frutto di evidenti compromessi e che subirà la prova della
traduzione in pratica e il prevedibile vaglio di numerose Corti di
giustizia. A partire dalla spinosa questione “figli”, su cui già suonano
i tamburi di guerra pro o contro le adozioni gay. Per continuare con
questioni più spicciole, ma certo assai diffuse, quali
l’indeterminatezza degli alimenti quando dovesse rompersi una convivenza
registrata o la mancanza di un loro registro nazionale.
Ma per
quanto perfettibile, la legge Cirinnà avrà comunque il pregio di colmare
una lacuna che ha condannato il nostro Paese in coda all’Europa negando
finora, nella Patria del diritto, i diritti di alcuni perché
considerati diversi.