Il Sole 13.5.16
Con Pechino conti in profondo rosso
Saldo commerciale negativo per 17,7 miliardi: scambi liberi mettono a rischio fino a 400mila posti
di Matteo Meneghello
MILANO
Un partner ingombrante, che anno dopo anno aumenta il suo peso, con la
conseguente necessità di gestire tutte le criticità che il rapporto
comporta. Ieri il Parlamento europeo, votando contro il riconoscimento
dello status di economia di mercato per la Cina, ha mosso un passo
fondamentale sul piano inclinato (e sempre più scivoloso) della politica
commerciale con Pechino. Ma a prescindere dall’evoluzione del dibattito
sul Mes (Market economic status), il confronto con Pechino resta
ineludibile, con un’Europa e un ’Italia in costante situazione di
debolezza, come conferma, tra le altre cose, la forte sofferenza della
bilancia commerciale italiana.
I numeri dell’Istat, elaborati dal
Mise, mostrano un forte sbilanciamento della bilancia commerciale negli
ultimi mesi: lo spread, dopo una lieve flessione nel biennio 2013-14,
nell’ultimo anno è tornato ad appesantirsi, raggiungendo i 17,7
miliardi. A fronte di un export italiano di 10,4 miliardi, l’anno scorso
sono entrati in Italia 28,158 miliardi di euro di merci, il 12,3% in
più rispetto all’anno precedente. E nel primo trimestre l’import, pur se
in flessione del 3,8% rispetto al corrispondente periodo dell’anno
scorso, ha superato i 7 miliardi.
La stragrande maggioranza di
questa massa riguarda prodotti della filiera del tessile-abbigliamento,
pari ad oltre 6,6 miliardi in valore (pari a quasi 4 volte il valore
dell’esportato), in aumento del 7,4% sull’anno precedente. Seguono i
computer e l’elettronica in generale (+4,8%), gli apparecchi elettrici
(3,3 miliardi, +17,9%) e la metallurgia (oltre 3 miliardi), cresciuta
del 24,6% in un solo anno. Secondo uno studio dell’Epi (Economic policy
institute), i posti a rischio in Italia, in caso di via libera al Mes
per la Cina, sarebbero tra i 200mila e i 400mila.
È un’onda d’urto
alla quale molti settori resistono perché tutelati da dazi. Strumenti
che, se la Cina dovesse ottenere il Mes, sarebbe molto più difficile
mantenere. I produttori di biciclette europei, per esempio, resistono
grazie alle barriere antidumping contro la Cina. «L’Europa, che si è
difesa dalla concorrenza sleale, è ancora viva – spiega Piero Nigrelli,
direttore del settore ciclo di Confindustria Ancma –, gli altri non
esistono più, come Usa e Giappone». Nigrelli ha espresso apprezzamento
per la decisione dell’europarlamento: «Permettere alla Cina – ha
aggiunto – che adotti sovvenzioni in maniera discriminata» invadendo poi
il mercato europeo con prodotti a basso prezzo, «annulla ogni
possibilità di competizione».
Un altro comparto a rischio è
l’acciaio. Il mercato siderurgico vive una situazione di sovraproduzione
mondiale e la Cina sta invadendo i mercati europei con i suoi prodotti
«Il voto di Strasburgo – spiega Antonio Gozzi, presidente di Federacciai
– è importante, ora si tratta di vedere che orientamento assumerà la
Commissione». Le aspettative sono mediamente favorevoli: «Negli ultimi
mesi – aggiunge – da Bruxelles abbiamo ricevuto segnali positivi». Il
leader di Federacciai sottolinea che non si tratta di «posizioni
protezionistiche: siamo tutti uomini di mercato, consapevoli
dell’importanza dell’interscambio commerciale con la Cina. Vendere in
dumping, però, non è consentito dalle regole, questo deve essere
chiaro».
Anche nel settore della carta , come ricorda Assocarta,
la Cina dispone di immense capacità produttive che minacciano il
comparto, in particolare quello grafico e delle carte patinate senza
legno. «Tra il 2007 e il 2015 – spiega il vicepresidente di Assocarta,
Paolo Mattei –, il mercato europeo di questi prodotti si è
ridimensionato, passando da 7,3 a 4,8 milioni di tonnellate, e il 20% di
questa riduzione si è concentrato in Italia. E questo nonostante i dazi
Ue antidumping, in vigore da maggio 2011 e ormai in scadenza». Mattei
ha espresso ieri soddisfazione per la decisione di Strasburgo: «Il
settore cartario italiano è a favore della libertà di mercato – ha detto
–, purché si combatta ad armi pari».
Soddisfatto della presa di
posizione dell’europarlamento anche Claudio Andrea Gemme, presidente di
Anie, l’associazione di Confindustria che raggruppa le aziende
dell’elettronica. «È un tema di concorrenza – spiega –: le industrie
cinesi operano in un contesto di profonda deregulation rispetto
all’impianto normativo che ci siamo dati in Europa Le nostre aziende
sostengono costi più alti, e nonostante questo riescono a garantire
un’incidenza di almeno il 4% sui costi di ricerca e sviluppo rispetto al
fatturato. Il Mes alla Cina – conclude – pregiudicherebbe la
competitività delle nostre aziende su tutti i mercati, per non parlare
delle conseguenze occupazionali».