Il Sole 13.5.16
Le reazioni. Soddisfazione quasi unanime e invito da
tutti i gruppi politici a Juncker e alla Commissione a tutelare gli
interessi europei
Impegno «trasversale» a Strasburgo, italiani in prima linea
di B.R.
BRUXELLES
Il voto di ieri a Strasburgo con il quale il Parlamento europeo si è
detto contrario a concedere alla Cina lo status di economia di mercato
colpisce soprattutto per la natura quasi plebiscitaria. La crisi
economica, l’incertezza sociale, la fragilità politica hanno indotto
tutti i principali partiti europei a convergere su una posizione
condivisa, chiedendo pressoché unanimemente alla Commissione europea di
mantenere inalterate le difese commerciali dell’Unione contro le vendite
sotto costo delle aziende cinesi.
«Il Parlamento europeo – ha
spiegato ieri a Strasburgo il capogruppo socialista Gianni Pittella - si
è espresso chiaramente con una larga maggioranza: la Cina non è pronta
per essere considerata un’economia di mercato. Noi socialisti siamo
stati in prima linea per questa battaglia a difesa delle migliaia di
posti di lavoro e imprese in Europa che sarebbero spazzati via dalla
concorrenza sleale cinese. Anche per questo, esiste l’Unione europea».
Sempre
sul fronte socialista, Alessia Mosca, responsabile delle relazioni
commerciali con la Cina del gruppo parlamentare, ha sottolineato: «La
nostra non è una battaglia contro la Cina, partner commerciale e
politico di prima importanza, ma a favore di un commercio globale equo e
sostenibile». Ha poi aggiunto: «La Cina (…) non è un’economia di
mercato e le nostre imprese, se non dovessimo fare niente, sarebbero
gravemente esposte a una competizione sleale».
Sul versante
popolare, «la vittoria di oggi – ha affermato il vice presidente del
Parlamento europeo Antonio Tajani - ci permette di tutelare il sistema
produttivo italiano, che sarebbe quello più colpito da un riconoscimento
dello status di economia di mercato alla Cina». Sempre secondo l’ex
commissario all’Industria, «l’Italia sconterebbe, infatti, il 40% delle
ricadute negative sul piano europeo. In pericolo ci sono tra i 200mila e
i 500mila posti di lavoro nel nostro paese».
I Liberali sono
d’accordo nell’affermare che la Cina non è una economia di mercato, ma
vogliono che le autorità comunitarie rispettino i loro obblighi
internazionali. Riferendosi alle prossime proposte legislative della
Commissione, sulla base del Protocollo d’ingresso del paese asiatico
nell’Organizzazione mondiale del commercio, il parlamentare europeo
Alexander Graf Lambsdorff ha precisato: «Qualsiasi proposta deve
rispettare gli obblighi dell’Unione secondo le regole dell’Omc».
In
effetti, vi sono incertezze giuridiche sull’iter da seguire: può
d’emblée l’Europa non concedere lo status o vi sono impegni minimi a cui
deve sottostare? Le risposte non sono chiare perché l’interpretazione
del Protocollo d’ingresso firmato nel 2001 non è univoca (si veda
l’articolo in questa stessa pagina). Tecnicamente, la risoluzione
parlamentare votata ieri a Strasburgo chiede alla Commissione europea di
preservare le «metodologie non standard» utilizzate finora nel calcolo
dei dazi a cui sono soggetti i prodotti cinesi venduti sotto costo in
Europa.
Secondo David Borrelli, deputato europeo del Movimento
Cinque Stelle, «la Commissione, adesso, nel fare la sua proposta al
Consiglio, non potrà far finta di niente. Bisogna vincere anche la
partita di ritorno per portare a casa questa importante vittoria per il
futuro delle imprese europee».
Invece, i Verdi, per bocca del
parlamentare Yannick Jadot, hanno esortato i Ventotto a rafforzare «i
suoi strumenti di difesa commerciale». Da segnalare, infine, che - su 73
deputati italiani - a votare contro la risoluzione sono stati solo i
leghisti Mara Bizzotto, Mario Borghezio, Gianluca Buonanno e Lorenzo
Fontana.