Il Sole 13.5.16
Braccio di ferro. Del progetto originario restano pochi elementi di liberalizzazione
Per una mini-riforma si scatena l’ennesima battaglia sociale
di Marco Moussanet
Tanto
rumore per nulla. O quasi. È questa l’impressione che si ha di fronte
al clima di altissima tensione e di scontro – politico e sociale, con la
spaccatura interna al partito socialista, gli scioperi e le
manifestazioni sindacali – che si è creato intorno alla legge di riforma
del mercato del lavoro.
Va detto che presidente e Governo –
segnati da una crisi di popolarità che ne intacca potere e
legittimazione – si sono mossi malissimo, fin dall’inizio. D’un lato
perché hanno affidato la gestione di una riforma così delicata e
complessa (ispirata dal ministro dell’Economia Emmanuel Macron, al quale
non si voleva dare spazio politico perché ritenuto un potenziale,
pericoloso, avversario interno) alla neofita Myriam El Khomri.
Sottosegretario alle Politiche urbanistiche nel secondo Governo Valls e
promossa a sorpresa ministro del Lavoro pochi mesi fa. Una signora molto
sorridente, anche troppo, ma alquanto inesperta (tutti ricordano
un’intervista in cui ha ammesso di non sapere per quante volte le
imprese possono rinnovare i contratti a tempo determinato).
Dall’altro
perché non si sono premurati di ottenere il preventivo via libera dei
sindacati cosiddetti “riformisti”. Di “coprirsi” insomma a sinistra.
Dando a tutti la sensazione che le legge avesse di fatto recepito solo
le richieste delle organizzazioni imprenditoriali.
Nella sua prima
versione, quella presentata dal Governo a marzo come «la migliore delle
leggi possibili», la riforma era oggettivamente molto innovativa, quasi
rivoluzionaria, per l’arcaico, anacronistico e ipergarantista mercato
del lavoro francese.
Di fronte alle minacce sindacali, alle
proteste degli studenti e al rischio di una contestazione generalizzata,
Hollande e Valls hanno rapidamente fatto marcia indietro sui punti
chiave, caratterizzanti del progetto: la fissazione di un tetto alle
indennità di licenziamento (da 3 a 15 mesi di retribuzione), confermando
l’attuale discrezionalità lasciata ai giudici del lavoro; la
possibilità per i gruppi multinazionali di varare dei piani di
ristrutturazione (con tagli degli organici) sulla base dell’andamento
del singolo impianto francese e non – come accade ora ed è stato
confermato – sui risultati dell’intero gruppo; l’opportunità per le
piccole e medie imprese di concordare con il singolo dipendente delle
variazioni dell’orario di lavoro (ricorrendo al cosiddetto “forfait
giorno”); l’aumento, in caso di necessità, dell’orario degli apprendisti
senza previa autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro.
Cosa
rimane quindi della formula iniziale? Per cosa la Francia si sta
dividendo in maniera così clamorosa? Quali sono i punti principali del
provvedimento per il quale il Governo ha deciso di ricorrere alla
fiducia?
Licenziamenti per ragioni economiche. Il testo fissa per
la prima volta in modo chiaro i criteri che consentono all’impresa di
procedere. E cioè un calo dei ricavi di un trimestre per le aziende con
meno di 11 dipendenti, di due trimestri consecutivi per quelle tra 11 e
50 addetti, di tre per quelle da 50 a 300 lavoratori e quattro per
quelle con oltre 300 addetti. Ovviamente bisogna sempre passare da un
accordo sindacale.
Referendum aziendale. Nel caso di accordo
approvato da uno o più sindacati che hanno almeno il 30% dei consensi,
l'impresa può ricorrere al referendum. In caso di vittoria dei “sì”
l'intesa viene applicata e chi si oppone può essere licenziato (ma per
ragioni economiche e non individuali, quindi con un trattamento
migliore). Cade la possibilità di veto da parte di sindacati che hanno
almeno il 50% dei consensi.
Accordi “offensivi”. Attualmente
un'impresa può concordare con i sindacati una flessibilità dell'orario
in caso di difficoltà (accordi “difensivi”). D'ora in poi potrà farlo
anche per far fronte a un aumento della domanda. Ma il livello mensile
della retribuzione non potrà cambiare. Anche in questo caso chi rifiuta
potrà essere licenziato per ragioni economiche.
Primazia degli
accordi aziendali. Le intese aziendali sull'orario e sulla retribuzione
degli straordinari faranno premio su quanto previsto a livello di
categoria (anche se la categoria manterrà un controllo). In concreto, le
aziende potranno concordare con i sindacati una maggiorazione della
retribuzione delle ore di straordinario (cioè al di là della 35ma ora
settimanale) più bassa di quella prevista per la categoria (oggi
mediamente del 25%), ma comunque non inferiore al 10 per cento.