venerdì 13 maggio 2016

Il Sole 13.5.16
Il caso Sala agita il confronto Radicali e 5Stelle: ricorsi pronti
Palazzo Chigi smentisce l’accusa di incandidabilità
Panorama e poi dal Fatto hanno lanciato l’accusa: Sala risulterebbe «incandidabile perché non si è mai dimesso dalla carica di commissario di Expo», ma solo da quella di amministratore delegato della società
di Sara Monaci

La campagna elettorale di Milano, ora che la data delle amministrative si avvicina, si sta spostando su questioni formali e persino burocratiche.
Nel mirino il candidato del centrosinistra Giuseppe Sala, che finora alcuni avversari - come la Lega, il Movimento 5 Stelle e Sinistra italiana - hanno criticato per la scarsa trasparenza dei conti dell’Expo, essendo stato commissario unico dell’evento. Ed è nuovamente questo suo (ex) ruolo a tenere banco in questi ultimi due giorni. Un articolo di ieri del settimanale Panorama, seguito poi dal Fatto quotidiano, lancia l’accusa: Sala in base al Testo unico degli Enti locali (per la precisione articolo 60, comma 1, numero 2) risulterebbe «incandidabile perché non si è mai dimesso dalla carica di commissario di Expo», ma solo da quella di amministratore delegato della società. Lo proverebbe il fatto che «non c’è traccia» di un decreto che conferma la chiusura dell’incarico, come avvenuto per altre manifestazioni o per lo stesso Expo (ad esempio ai tempi in cui era commissario generale Roberto Formigoni, per cui il governo fece un decreto ad hoc per l’interruzione del rapporto con il governo).
Secca la smentita di Sala, secondo cui l’osservazione sollevata «da certa stampa militante è surreale».
L’ex commissario però taglia corto e dice di voler chiudere la questione e di volersi occupare d’altro. Il suo staff chiarisce dunque tempi e date: sarebbe tutto regolare visto che le dimissioni da commissario unico sono state date il 15 gennaio 2016 e protocollate il 18 gennaio. Quest’ultimo atto è sufficiente e, sebbene in alcuni casi sia stato fatto effettivamente un decreto del consiglio dei ministri, questo «non costituisce un obbligo, ma solo una prassi, usata nei casi in cui un commissario deve essere subito sostituito da un altro».
Palazzo Chigi, in una nota di 2 giorni fa, ha ribadito che il protocollo del 18 gennaio è sufficiente e non ha bisogno di altro adempimento. Sala ha firmato il 3 febbraio un atto di Expo, ma solo come ultimo atto del suo incarico da amministratore delegato di Expo spa, in qualità di «titolare della contabilità speciale» per il rendiconto alla Corte dei conti.
Questione chiusa, dunque? Assolutamente no per il candidato del M5s Gianluca Corrado, che ha annunciato un ricorso al Tar, mentre il leader dei Radicali Marco Cappato andrà invece alla procura, Anac e Autorità per la concorrenza. Basilio Rizzo, candidato di Si, sottolinea che il rispetto delle regole vale per tutti.
Non cavalca invece la polemica Stefano Parisi, candidato del centrodestra, che si distingue per il fair play: «Il nostro confronto va fatto su altri piani e vorrei essere votato per convinzione, vincere perché le persone mi scelgono e non perché un avversario inciampa su questioni formali». Se così parla Parisi, negli ambienti vicini ai partiti del centrodestra – anche sulla scia dell’esclusione per motivi puramente formali della lista di Fratelli d’Italia – si ritiene che l’accusa a Sala sia abbastanza fondata. Tra le osservazioni formali ci sarebbe anche quella relativa al suo incarico di fine 2015 nel cda di Cassa depositi e prestiti, incompatibile con la carica di commissario del governo. La risposta, sempre in punta di diritto, è già pronta: «Trattasi di commissario unico e non di commissario straordinario». I due candidati delle principali coalizioni, Sala e Parisi, sperano di ricominciare a parlare d’altro.