il manifesto 22.5.16
Lo tsunami referendario
Sinistra Pd. L’antitodo a Renzi si chiama Costituzione
La fronda interna, afona e travolta dal crollo di una cultura cultura politica, contratta ai margini
di Michele Prospero
Con
un articolo apparso su Repubblica, critico su Renzi e la minoranza Pd
incapace di incalzarlo a dovere sulle riforme costituzionali, Alfredo
Reichlin ha un po’ riscattato l’onore politico degli antichi scolari di
Togliatti. Tranne Aldo Tortorella (che però è più legato a Luigi Longo
che al Migliore e quali referenti culturali ha il razionalismo critico
di Antonio Banfi e non lo storicismo), nessuno tra gli eredi di
Togliatti (cioè la più preparata generazione politica della Repubblica)
aveva preso una netta posizione critica nei confronti di Renzi.
Persino
Macaluso esita a tirare le conseguenze logiche della sua riflessione
sempre penetrante sulla fase politica. Egli pensa che il problema
cruciale sia «la pochezza della classe dirigente di cui si è circondato»
il presidente del consiglio. Che si tratti di personalità dallo scarso
profilo politico e dalla inesistente attitudine istituzionale, nessun
dubbio. Ma come poteva un leader mediocre, e privo di esperienza di
governo egli stesso, selezionare un ceto politico di qualità?
Macaluso
è troppo acuto per non comprendere che il suo dipingere un Renzi come
capo discutibile che però non ha rivali non è un semplice giudizio di
fatto, ma un attestato di valore che celebra come immutabile l’esistente
e condanna all’oblio i tentativi di reagire alla decadenza. È però
soprattutto Napolitano che sorprende nella totale adesione allo stil
nuovo del renzismo in ragione del quale ha sposato persino l’illiberale
piglio governativo in materia di riforma costituzionale.
Sarà per
la profondità dei fondamenti culturali del decisionismo, che il ministro
Boschi ha così esplicitato: Renzi è un politico decisionista perché «è
stato arbitro nel calcio. Come arbitro si è abituati a prendere
velocemente decisioni». Dinanzi all’arbitro della Costituzione non si
può restare indifferenti. Sarà per l’aulico linguaggio istituzionale
dell’inquilino di Palazzo Chigi («noi mettiamo lo streaming anche quando
andiamo in bagno»).
O sarà per la solidità del sapere economico
del premier («Ieri, uscito dalla messa, mi sono fermato a parlare con il
mio amico Gilberto, commercialista. ‘Matteo, che soddisfazione. Ieri ho
fatto vedere a alcuni clienti quanto risparmiano di Irap. Non ci
credevano!’»): quel che resta è il sostegno di Napolitano al plebiscito
per l’uomo della provvidenza.
Che di un referendum come evento
mistico si tratti l’ha ribadito ancora l’altro giorno Renzi: «Il sì o il
no alla riforma non è un sì o un no tecnico. È un passaggio epocale».
Rimane un impenetrabile mistero della fede a spingere Napolitano, cioè
il politico più longevo della “casta”, a prestare soccorso al premier
che proprio a ottobre intende castigare la casta («Ogni giorno che passa
diventa più chiaro: il referendum di ottobre sarà su argomenti molto
semplici. Se vince il Sì diminuiscono le poltrone; se vince il No
restiamo con il Parlamento più numeroso e più costoso dell’Occidente»).
La
sinistra, dagli allievi di Togliatti ancora in giro alle sue fondazioni
culturali (con Beppe Vacca che formula una linea genealogica creativa
dichiarandosi renziano, e forte sostenitore delle riforme
costituzionali, proprio in quanto comunista togliattiano e gramsciano),
dagli eredi di Amendola ai turchi più o meno giovani, insomma dirigenti
di diverse generazioni, è afona e irrilevante. Ciò perché gran parte del
suo ceto politico e intellettuale è rimasto travolto da un crollo di
cultura politica e ha interpretato il renzismo come un fenomeno di lungo
periodo. E, senza più alcun pensiero politico, ha sgomitato per
acconciarsi sul carro del rottamatore per contrattare margini personali
di sopravvivenza.
Merito di Reichlin è di aver dato un primo
segnale di reazione. E Bersani ha rilanciato la sfida sostenendo la
piena legittimità di comitati per il no promossi dal Pd. Questa è la
strada migliore. La sinistra Pd è un danno in potenza ogni volta che si
muove in cerca di mediazione. In nome del miglioramento delle leggi ha
contribuito a stravolgere la Costituzione e il diritto del lavoro. Se
non ha il fegato per emendare proprie colpe e aprire comitati per il no,
almeno non intraprenda quelle operazioni di scambio che finiscono per
edificare mostri.
Il problema principale oggi non è, infatti,
l’elettività del senato ristretto e privato del voto di fiducia. E
quindi la minoranza non si agiti inutilmente per strappare impegni sui
modi di designazione dei dopolavoristi e poi consegnarsi a un Renzi
ringalluzzito per la legittimazione delle sue pratiche illiberali
ricevuta dai nemici interni. Il nodo è la legge elettorale. Rimuova lo
scempio dell’Italicum e i senatori, il governo, li può pure ricavare in
blocco dai consigli comunali di Rignano, di Montelupo Fiorentino, di
Campi Bisenzio o Laterina. Elimini il premio di maggioranza e i senatori
a vita per alti meriti verso la Repubblica il governo può pure indurre
il Quirinale a sceglierli tra i banchieri dell’Etruria o del Credito
fiorentino.
L’atmosfera miracolistica creata attorno a un leader
senza retroterra, che non può perdere il referendum altrimenti sul paese
si abbatte il diluvio, la dice lunga sulla decadenza politica e
culturale della repubblica. Tutti gli argomenti che suonano sul tasto:
Renzi è una nullità ma non ci sono alternative non sono prove a sostegno
di Renzi. Sono piuttosto una conferma della crisi della democrazia di
cui lo statista di Rignano è un’espressione crepuscolare, non certo la
terapia.
L’alternativa a Renzi? La Costituzione, bene da non
disperdere nella sua normatività che esclude ogni uso partigiano di una
maggioranza governativa. Che la sinistra del Pd apra dei comitati per il
no all’occasionalismo costituzionale è il minimo che possa fare.