il manifesto 21.5.16
Renzi: “Io non c’entro, si vota per i comuni”
Amministrative.
Brutti sondaggi per il Pd in vista delle amministrative del 5 giugno. E
il presidente del Consiglio si chiama fuori
di Andrea Colombo
«Il
voto per i sindaci non è per il governo». Lo dice Matteo Renzi e lo si
può capire. Sa leggere i sondaggi e avverte l’odore della sconfitta. E
pensare che la stampa amica raccontava ieri tutta un’altra storia. I
media italiani, che da sempre offrono lo spettacolo peggiore quando le
elezioni si avvicinano, esibivano un orgiastico tripudio.
I
sondaggi di ieri erano gli ultimi «legali» prima della corsa finale,
dunque gli ultimi che giornali e tv potessero interpretare per dare una
mano a chi di dovere
Repubblica si è distinta. Il quadro nelle
piazze principali tutto è tranne che rassicurante per il partito che
governa (e che occupa in pianta stabile le televisioni). Urge rimediare
con un titolo, per correggere il lettore, dovesse mai dar retta ai
numeri e alle cifre: «Nella corsa ai sindaci il centrosinistra regge».
Figurarsi. Alla prova dei fatti magari scopriremo che resiste alla grande. Ai nastri di partenza però non pare.
Prendiamo
Roma: la rilevazione Demos vede Giachetti staccato di sei punti
rispetto alla candidata a cinque stelle: 30,5% contro il 24,5%. Senza il
regalo di zio Silvio, quella candidatura Marchini che resta col fiatone
nonostante l’ossigeno azzurro, il Pd a Roma sarebbe già fuori gara e
anche così rischia di non arrivare alla sfida finale. Meloni lo tallona
con il 23,1% e quell’11,4% che sceglie Marchini potrebbe sterzare una
volta appurato che l’erede dei costruttori al Campidoglio non ci
arriverà mai. In compenso non è facile che l’ottima percentuale di
Fassina, 8,1%, rifluisca su Giachetti. Non lo sarebbe neppure se Fassina
elargisse inviti in questo senso, e non lo farà. Poco male. «Il Pd
regge».
Esultanza invece nella capitale morale: «A Milano in testa
Sala». In effetti l’ex uomo-Expo guida la corsa con il 39,2% contro il
35,8 di Parisi. Però, anche a non tener conto del fatto che sul Corriere
della Sera, campeggiano previsioni diverse, con il candidato di Renzi
in testa solo di un punto, resta il fatto che la stessa Demos indica una
partita che più aperta non si può. Trattandosi di una piazza dove non
doveva proprio esserci gioco, ci sarà davvero da stappare lo champagne?
Per
fortuna che c’è Torino e lì con il sindaco Fassino in testa addirittura
con il 42,5% contro il 23,1% della principale sfidante Chiara Pendino,
M5S, si può festeggiare. Mica vero, e basta scambiare quattro
chiacchiere con qualche esponente del Pd, meglio se di fede renziana,
per sincerarsene. Ci si sentirà ripetere che «Fassino deve vincere senza
ballottaggio, sennò il rischio è enorme». Un po’ tutti i direttori
degli istituti di sondaggi concordano. «Nelle sfide dirette Pd-M5S , il
Pd perde ovunque», confermano sul Corriere.
Niente paura però. Il Pd regge.
Di
Napoli converrebbe non parlare proprio, per non mitragliare la croce
rossa. È vero, De Magistris, stando ai sondaggi, dovrebbe andare al
ballottaggio, essendo accreditato del 42,1%. A inseguirlo (da lontano)
però c’è il candidato della destra Lettieri, col 19,7%, con dietro il
lombardo napoletano a cinque stelle Brambilla. Valeria Valente, la
candidata imposta dal genio di palazzo Chigi, arranca al quarto posto.
E che vuol dire? Il Pd regge.
È
opportuno segnalare che il sondaggio di cui sopra è il più favorevole
al «partito che regge», con l’eccezione di quello Winpoll
dell’Huffington post, che a Roma vede il renziano a un’incollatura dalla
grillina, sotto di appena due punti. Ottimo, se non fosse che la stessa
Winpoll profetizza poi mazzata senza scampo al ballottaggio: 60% contro
40%.
I sondaggi si sa sono giochini. La partita è aperta.
Le
sparate di ieri provano una cosa sola: che i media italiani hanno
ripreso le pessime abitudini di quando, nel 2008, si inventarono un
testa a testa inesistente per compiacere Walter Veltroni, che parlava di
rimonta senza precedenti nemmeno stesse disquisendo di calcetto ai
giardinetti invece che del governo del Paese.
E questa è solo la
prova generale. I botti davvero sorprendenti arriveranno col referendum:
non è mica un caso se da destra a sinistra, dall’etere alla carta
stampata, i direttori favorevoli al no stanno cadendo come le foglie
d’autunno.