il manifesto 15.5.16
La Nakba non è mai terminata
1948/2016.
La storia, la cultura, le radici dei palestinesi nella loro terra sono
oscurate, in ogni modo. Il caso del nuovo libro di testo di educazione
civica per le scuole di Israele
di Michele Giorgio
GERUSALEMME
Mentre Israele celebra la sua fondazione, migliaia di palestinesi vanno
nei boschi alla ricerca dei resti dei loro villaggi distrutti durante e
dopo il 1948. Famiglie intere pranzano accanto a ruderi spesso coperti
dalla vegetazione. I più anziani narrano le vicende e le tragedie di
quei luoghi, tramandando una storia orale che resta il caposaldo della
memoria collettiva palestinese. Altri, nel Neghev, manifestano chiedendo
rispetto per le loro radici, per le loro case che rischiano di essere
spazzate via nel quadro di piani di “ricollocazione” e di sviluppo del
deserto. Altri ancora, nei Territori occupati, nei campi profughi dal
Libano alla Giordania, sfilano issando bandiere e scandendo slogan per
la Palestina. E’ l’anniversario della Nakba, la “catastrofe” del popolo
palestinese che perse tutto nel 1948 e che si ritrovò in buona parte
lontano dalla sua terra, cacciato via o costretto alla fuga, mentre lo
Stato di Israele viveva l’alba della sua storia.
A qualcuno queste
manifestazioni, le visite ai villaggi distrutti, le narrazioni degli
anziani forse appaiono ripetive o un aggrapparsi al passato mentre
bisognerebbe guardare al futuro. Non è affatto così. Questi “riti” sono
essenziali per i palestinesi che in questo modo da decenni custodiscono
la loro identità e la difendono dalla narrazione israeliana che, sempre
più in Occidente, diventa la versione esclusiva di ciò che accadde
prima, durante e dopo il 1948. Sono fondamentali per impedire che scenda
l’oblio su di un popolo scomodo non più soltanto all’establishment
politico di Israele ma anche a tanti europei e americani stanchi di
«questi palestinesi» che insistono a reclamare i loro diritti, ad
invocare la libertà. Ed è ora un’aggravante la fede islamica della
maggioranza dei palestinesi. Un punto sul quale batte il premier
israeliano Netanyahu che ha più volte messo sullo stesso piano
l’Intifada agli attentati dell’Isis in Europa raccogliendo non pochi
consensi nel Vecchio Continente.
In questo clima non è destinata a
generare alcun interesse a casa nostra una notizia che ben rappresenta
la Nakba 68 anni dopo: l’annullamento dei palestinesi e della loro
storia nella terra alla quale appartengono. Il ministero dell’istruzione
israeliano ha diffuso lunedì scorso il nuovo libro di testo di
educazione civica per le scuole del Paese che contiene poche righe
sull’esistenza dei palestinesi in Israele e sull’occupazione militare di
Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est. Il libro – un prodotto del nuovo
corso nazionalista religioso nell’istruzione avviato dal ministro
Naftali Bennett – in verità ha scontentato molti, dagli ebrei sefarditi
agli attivisti dei diritti di gay e lesbiche. Sono però i palestinesi i
più ignorati, i più depredati della loro identità nonostante
rappresentino in Israele più del 20% della popolazione. Inoltre recupera
rappresentazioni dei cittadini arabi tipiche degli anni ’60 come i
«drusi sionisti», i «cristiani aramei», i «beduini», i «circassi», i
«musulmani». I palestinesi in Israele e nei Territori occupati sembrano
non avere alcun legame storico e culturale con luoghi in cui vivono:
solo lì per caso. Il libro sottolinea che «la versione palestinese (del
1948) sostiene che la maggior parte dei rifugiati sono stati espulsi con
la forza ma in Israele è ormai comunemente accettato che la maggior
parte dei profughi sono fuggiti» e fornisce numeri sui rifugiati molto
diversi da quelli ufficiali delle Nazioni Unite. Gli autori non mettono
in alcuna relazione gli arabo israeliani (i palestinesi in Israele) e i
palestinesi in Cisgiordania, quasi tacciono sull’occupazione che dura da
49 anni e non fanno alcun riferimento alle colonie ebraiche costruite
nei Territori occupati in violazione delle leggi internazionali. E
infatti nel libro è scritto che c’è una «disputa»: i territori che
Israele catturò nel 1967 sono «occupati» o «liberati»?
Israele si
lamenta dei libri di testo palestinesi che non lo riconoscono, in
particolare a Gaza dove governa Hamas. Ma Israele, che si proclama una
democrazia, «l’unica democrazia del Medio oriente», fa lo stesso nelle
sue scuole. Lo studente ebreo non apprende nulla dei palestinesi, è
portato a credere che gli «arabi» siano un mosaico di minoranze che non
hanno radici nel Paese, più o meno degli immigrati. Lo spiega bene la
docente universitaria Nurit Peled Elhanann nel suo libro “La Palestina
nei testi scolastici di Israele. Ideologia e propaganda
nell’istruzione”. Gli arabi, scrive, sono rappresentati come profughi in
strade e luoghi senza nome. «Nessuno dei libri (di testo)», aggiunge
Peled Elhanann, «contiene fotografie di esseri umani palestinesi e tutti
li rappresentano in icone razziste o immagini classificatorie avvilenti
come terroristi, rifugiati o contadini primitivi». La Nakba è anche
questa, i palestinesi lo sanno bene.