Corriere 8.5.16
«Così l’immigrazione può diventare un’opportunità»
L’inchiesta di Report: basta cooperative, lo Stato gestisca i rifugiati utilizzando le caserme vuote
di Sergio Rizzo
Quattrocentosettanta
chilometri di filo spinato. Una lunghezza pari a quasi quattro volte
quella del primo muro tirato su in Europa, 19 secoli fa: il Vallo di
Adriano. Due millenni più tardi le barriere di reti e acciaio spuntano
in tutto il Continente. Cento chilometri fra Bulgaria e Turchia, 175 fra
Ungheria e Serbia, una trentina fra Austria e Slovenia, 166 fra
Slovenia e Croazia. E dove non ci sono muri fisici ecco le frontiere, e
alle frontiere le divise, i fucili spianati, i controlli. «Schengen è
morto», sentenzia il deputato del partito del popolo danese Kenneth
Kristensen Berth con l’inviata di Report Claudia Di Pasquale. Quel
partito rappresenta la destra antieuropea, vero. Ma la realtà dei fatti è
che la libera circolazione delle persone nel nostro continente non
esiste più. L’emergenza immigrazione ha risvegliato pulsioni nascoste:
egoismi e nazionalismi che rischiano di far naufragare gli ideali stessi
alla base dell’Unione. In questa crisi senza precedenti dei principi
che da sessant’anni ci tengono insieme, l’Italia è il classico vaso di
coccio. Con ottomila chilometri di frontiere liquide, impossibili da
controllare, e la rotta dei Balcani ormai sbarrata, l’urto
dell’immigrazione è tutto sulle nostre spalle, oltre che su quelle della
Grecia. Un problema enorme da fronteggiare. A meno che non diventi
un’opportunità.
In che modo hanno provato a immaginarlo quelli di
Report di Milena Gabanelli nella puntata che va in onda questa sera su
Raitre. L’idea è quella di riportare la gestione dei rifugiati nelle
mani dello Stato. Basta con gli affidamenti a certe cooperative: la
storia del Cara di Mineo insegna. Basta con i finanziamenti agli
alberghetti trasformati in ostelli degradati. Basta con il torbido
intreccio su cui si allunga l’ombra di interessi politico-affaristici.
L’Italia
è piena di strutture pubbliche che potrebbero essere utilizzate per i
compiti di accoglienza dei rifugiati. Caserme vuote ce ne sono
dappertutto, e molte neppure in condizioni pessime. Alcune hanno cucine e
servizi igienici funzionanti. Oltre a locali utilizzabili per i corsi
di lingua, educazione civica e formazione professionale. Per accogliere
200 mila persone l’anno servirebbero 400 immobili. Il costo per rendere
idoneo a tale funzione questo patrimonio pubblico si potrebbe aggirare,
secondo le stime degli esperti consultati da Report (fra cui l’urbanista
Paolo Berdini), intorno ai 2 miliardi. Altri 2 miliardi e 165 milioni
l’anno sarebbero necessari per il mantenimento delle strutture, compreso
lo stipendio per 25 mila addetti e 400 medici. Chi pagherebbe? «Se
l’Italia mettesse in piedi un piano nazionale complessivo e il governo
lo facesse suo presentandolo ufficialmente agli organi europei
competenti, sarebbe senz’altro recepito positivamente. Se sono necessari
più soldi ne discutiamo nel dettaglio, i soldi ci sono», risponde il
commissario europeo all’immigrazione Dimitris Avramopoulos a Giuliano
Marucci di Report. Potrebbe pagare dunque l’Europa. I rifugiati
richiedenti asilo sarebbero accolti in strutture adatte e organizzate
nel nostro Paese, per poi essere smistati secondo le quote nei vari
paesi: identificati, preparati, istruiti e coscienti dei diritti e dei
doveri europei. In cambio, una volta finita l’emergenza, ci resterebbe
un patrimonio immobiliare pubblico ristrutturato e di valore enormemente
accresciuto. Conosciamo l’obiezione: per la politica (e la burocrazia)
italiana è una sfida impossibile. E non è campata per aria. Ma perché
non provarci?