Corriere 5.5.16
I segreti del regno di Kim
Il leader apre
il Paese a pochi reporter prima del Congresso del Partito In attesa di
esibire i missili, mostra fattorie, asili nido e archi di trionfo
di Guido Santevecchi
PYONGYANG
Il gran giorno di Kim Jong-un è fissato per domani: la prima volta dopo
36 anni che il Partito dei Lavoratori della Corea del Nord si riunisce a
congresso. Quali annunci darà al suo popolo il giovane dittatore che si
è appena fatto definire «Il Grande Sole del XXI secolo»? Gli analisti
internazionali, impegnati a indovinare la strategia del «regno eremita»
senza mai poterlo osservare dall’interno, pensano che Kim voglia
promettere un piano di sviluppo economico e insieme dichiarare che la
Repubblica Popolare Democratica di Corea è diventata una potenza
nucleare. L’intelligence di Seul teme che i nordcoreani celebrino
l’evento con un nuovo test missilistico o nucleare, l’Onu continua a
discutere. Il governo di Pyongyang nell’attesa ha deciso di aprire le
frontiere a un gruppo di media stranieri tra i quali il Corriere e
invece di esibire missili e forza militare per ora ci sta intrattenendo
tra fattorie modello, asili nido, archi di trionfo e supermercati.
Arrivare
è stata un po’ un’avventura: la compagnia di bandiera locale, Air
Koryo, è considerata «la peggiore del mondo» nelle classifiche
specializzate. Stretta dalle sanzioni, usa vecchi apparecchi russi che
neanche in Russia volano più. Comunque, il bimotore decolla in perfetto
orario da Pechino diretto a Pyongyang. A bordo dell’Ilyushin consumato
le hostess sfoggiano minigonna, trucco leggero e rossetto, molta
gentilezza. Per un lungo quarto d’ora l’aereo balla e vibra, poi scatta
una sirena. Brivido, ma è il segnale di annuncio in corso. Air Koryo è
la scelta giusta se vi piacciono molto le Moranbong, banda pop di dieci
ragazze selezionate personalmente da Kim Jong-un (a quanto si dice) per
reagire al successo della popstar di Seul Psy. I video di bordo
trasmettono solo le Moranbong in concerto, però mancano le cuffie e nel
tentativo di sovrastare il rumore dei motori l’audio viene trasmesso a
tutto volume in cabina, per chi vuole e anche per chi non vuole
ascoltare. Nello spettacolo compaiono immagini guerresche sottolineate
da melodie dal tono marziale: il pezzo forte è «Noi sogniamo giorno e
notte il Maresciallo Kim Jong-un».
All’aeroporto di Pyongyang
siamo attesi da funzionari in vestito scuro: sono guide e controllori.
Il giovane che mi segue parla un buon italiano e racconta di essersi
perfezionato mandando a memoria «La vita è bella» di Benigni: «E mi sono
anche commosso». C’è un vago senso di accerchiamento: non è permesso
muoversi da soli, siamo concentrati in un albergone su un’isola del
fiume Taedong, spostamenti solo in gruppo, al braccio ci fanno mettere
una fascia con scritto stampa in coreano per renderci ancor più
individuabili (ed evitabili da parte dei cittadini).
Prima tappa
la fattoria Jang Chon. Nei campi intorno alla capitale non si vedono
macchine agricole, solo buoi stanchi che trascinano carretti; tutto il
lavoro sembra ancora a braccia, in una terra fangosa. La fattoria invece
dev’essere una vetrina di conquiste contadine e progresso dettati dalla
dinastia Kim. La guida riferisce con precisione ed enfasi che Kim
Il-sung (fondatore del regime) l’ha visitata 16 volte; Kim Jong-il,
figlio e successore, è venuto 4 volte prima di morire nel 2011; Kim
Jong-un, nipote e ora «rispettato maresciallo» è stato qui già due volte
e «ha ordinato di aumentare la produzione di verdura». Già eseguito,
naturalmente. Nella fattoria lavorano 1.300 contadini per i quali sono
state costruite 422 casette a un piano con intonaco bianco e tetto blu. È
mezzogiorno e le case sono vuote, ce ne fanno visitare una, ordinata,
con un frigo in stile vecchio socialismo reale cinese. Poi via a vedere
l’asilo nido del villaggio agricolo: bello, luminoso, pavimenti in legno
lucido.
I bimbi di tre anni cantano in coro motivetti patriottici
e si capisce solo che scandiscono Kim Jong-un. Per i più piccoli ci
sono culle anni 50 in perfette condizioni, quasi non fossero mai state
usate; qualche pupazzo; vasini allineati perfettamente; bacinelle con
l’acqua per il bagnetto. Tutto perfettamente allineato, anche troppo in
ordine per essere un posto di piccolini. Un po’ triste. Fuori, tra i
vialetti deserti, una piscina rotonda, un campo di pallavolo. Non c’è
anima viva neanche nel «centro per la ricerca e la tecnologia», mostrato
con orgoglio dai nostri accompagnatori-controllori.
Non c’è
motivo di credere che si tratti di un villaggio fantasma allestito per
la stampa (come a volte è stato sostenuto), ma la mancanza degli
abitanti lascia pensare che il regime non voglia incontri tra cittadini e
stranieri. Di ritorno, non si vede grande movimento nemmeno nella
Strada Futuro, il quartiere di palazzoni appena inaugurato da Kim che ha
voluto «regalare appartamenti moderni agli scienziati della Patria».
Tappa in un supermercato: gli ospiti sono orgogliosi, perché sui tre
piani c’è di tutto, dai vini italiani (dei Castelli Romani) ai pannelli
solari, a delle imponenti automobili a pedali per bambini. Poca gente
del posto anche qui, siamo più numerosi noi stranieri di passaggio.
Sosta
davanti all’Arco di Trionfo alto 60 metri innalzato nel 1982 per i 70
anni di Kim Il-sung: in Nord Corea nei documenti ufficiali il tempo si
scandisce in Anni Juche, che partono dall’anno dopo la nascita
dell’Eterno e quindi siamo nel Juche 105. Juche è la filosofia politica
creata da Kim nonno: significa «padroni della propria vita», una sorta
di autarchia stalinista. Dall’altra parte di un vialone attraversato da
pochissime auto, si stanno allenando ragazzi in camicia bianca e
fazzoletto rosso al collo: marceranno in centomila, con torce accese per
creare una gigantesca coreografia a celebrazione del congresso, domani
notte, dice la guida. Si dice che la città sia isolata da posti di
blocco, che in un poligono militare qui vicino sia stata costruita una
copia del palazzo presidenziale di Seul da polverizzare in
un’esercitazione di cannoni. Soprattutto, in questo clima di anormalità
normale, scandito da lanci di missili e minacce di attacchi, nessuno può
dire di aver compreso la strategia del rispettato maresciallo Kim
Jong-un e neanche il pensiero del suo popolo.