lunedì 30 maggio 2016

Corriere 30.5.16
Orfini e lo scandalo dell’Atac: finisca l’incesto tra partiti e sindacati
intervista di Sergio Rizzo

Il commissario del Pd a Roma: l’azienda era la cassaforte di una lobby trasversale
«I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela. Gestiscono interessi, talvolta anche loschi, senza perseguire il bene comune». Lo diceva Enrico Berlinguer nel 1981, ma sembra una fotografia scattata oggi. Matteo Orfini, non le fa impressione?
«Mafia Capitale dimostra che il problema riguarda tutti. Certo, a cominciare dalla politica, ma interessa le imprese, il mondo del lavoro, anche l’informazione».
Berlinguer rivendicava la diversità del Pci rispetto agli altri partiti. Ma se guardiamo solo ciò che è accaduto a Roma si fa fatica a sostenere la diversità del Pd.
«La nostra diversità è che almeno noi abbiamo reagito. Riconosciuto il problema, non abbiamo esitato ad affrontarlo. Pagando anche un prezzo assai caro. Ricorda il lavoro di Fabrizio Barca e le dimissioni di tanti amministratori?».
La questione morale della capitale comincia dall’Atac.
«Il direttore generale Marco Rettighieri sta facendo pulizia. Il caso dell’Atac esplode anche grazie a noi. Da commissario del Pd a Roma ho consigliato a Ignazio Marino di chiamare un senatore di Torino, Stefano Esposito, per fare l’assessore ai Trasporti. Il fatto è che l’Atac è sempre stata la cassaforte di un partito trasversale, da destra a sinistra: per fermare l’andazzo serviva un politico non coinvolto con la macchina elettorale. E questo ha fatto saltare la logica dell’omertà».
Chi sapeva ha cominciato a parlare, dunque. Sta descrivendo un sistema dai contorni mafiosi, ne è cosciente?
«L’ultima vicenda, con la denuncia di quel dossier di cui avete parlato voi, è la dimostrazione: la gente perbene, e nell’Atac ce n’è tanta, ha preso coraggio».
Evviva. Ma i capi?
«Quando Esposito ha afferrato il toro per le corna, anche debordando dal proprio ruolo, nel vecchio gruppo dirigente dell’Atac pochi hanno fatto salti di gioia».
Ha un caratteraccio, pare.
«Se scopri che in cinque anni il 90% degli affidamenti è stato fatto senza gara regolare, il carattere c’entra poco».
E doveva arrivare uno da Torino? I politici, compresi i dirigenti del suo partito che sono dipendenti dell’Atac, non sapevano nulla? Non sapevano che il dopolavoro gestiva le mense da quarant’anni, e senza contratto?
«In questi anni è cresciuto un rapporto incestuoso fra politica, sindacato e anche il mondo delle imprese. Si sono create sacche di privilegio e rendite inaccettabili. Tutto questo va smontato. Siamo contenti della nomina di Rettighieri, e Roberto Giachetti ha già detto che da sindaco lo confermerà. Ma noto che è stato l’unico candidato a dirlo».
I sindacati non lo amano...
«A Roma c’è un sindacato forte, serio e autorevole. Ma anche loro dovrebbero riflettere su quello che è successo».
Non è ancora accaduto.
«In una tale situazione bisogna che i corpi intermedi si rigenerino. E i primi a muoversi dovrebbero essere proprio i sindacati. Il modo con cui ha funzionato finora questo sistema deve finire. Non possiamo sempre aspettare che intervenga la magistratura».
Ma come si è arrivati a questo punto? Cosa risponde il presidente del Pd?
«Non c’era più un partito. Dopo la sconfitta di Rutelli, nel 2008, si era chiuso un ciclo. Dopo si è affermata purtroppo l’idea di un partito organizzato per correnti su logiche di potere per cui le cordate hanno ritenuto necessario imbarcare chiunque, se non addirittura cedere alle lusinghe di interessi non sempre legali. Un partito così ha bisogno di preferenze, quindi di soldi...».
Chiamiamo le cose con il loro nome: un comitato d’affari. Basta un commissario per fare di nuovo un partito?
«Nel momento in cui smonti le correnti, la battaglia si sposta sulle idee. Se imponi ai candidati di non stampare manifesti, già riduci i costi delle campagne...».
Raffaele Cantone sostiene che la corruzione negli enti locali è stata favorita anche dal sistema delle preferenze.
«Quando discutevamo sull’Italicum, nel mio partito c’era chi parlava delle preferenze come del sale della democrazia. Io e pochi altri obiettavamo che possono anche favorire le degenerazioni. Ma il punto è chi metti in lista...»
Già. Qualche sorpresina può sempre saltar fuori.
«Non sono preoccupato. Quindici mesi di commissariamento saranno pure serviti a qualcosa».