sabato 28 maggio 2016

Corriere 28.5.16
Timidi segnali di pace fra israeliani e sauditi
risponde Sergio Romano

Il premier egiziano al Sisi ha inviato un messaggio di pace all’omologo israeliano Bibi Netanyahu prendendolo di sorpresa. È vero che la cattività palestinese rappresenta un serio problema per tutto il mondo, in specie quello islamico ed è possibile che la mossa di al Sisi tenda a neutralizzare l’invadenza sciita fra i palestinesi, essenzialmente sunniti,che riceverebbero aiuti dall’Iran. Dietro la mossa potrebbe esserci la lunga mano dei sauditi che temono la strumentalizzazione dei palestinesi da parte dell’Iran, che finanzia la rivolta nel Sinai al confine con Gaza. Fra i due Paesi esistono «pourparler»?
Nerio Fornasier fornasier.nerio@yahoo.fr
Caro Fornasier,
L e sue supposizioni sarebbero confermate da uno scambio di battute, generiche ma apparentemente amichevoli, fra Turi Al Faisal, ex capo della Intelligence saudita, e Yaakov Amidror, un ex generale israeliano che è stato consigliere per la sicurezza del primo ministro Benjamin Netanyahu. Lo scambio, segnalato da Maurizio Molinari su La Stampa del 15 maggio, ha avuto luogo durante un pubblico incontro al Washington Institute sulla situazione del Medio Oriente. Alcuni osservatori, fra cui Molinari, pensano che i due vecchi avversari abbiano scoperto di avere interessi comuni. Hanno uno stesso nemico: l’Iran sciita degli ayatollah. Sono entrambi preoccupati dall’accordo sul programma nucleare di Teheran sottoscritto, insieme alla Germania, dai cinque membri del Consiglio di sicurezza. Guardano entrambi con diffidenza ad alcune tendenze della politica di Barack Obama nella regione.
Aggiungo, caro Fornasier, che l’Arabia Saudita, dopo decenni di ostentata spensieratezza, sembra avere improvvisamente scoperto di essere socialmente ed economicamente vulnerabile. In Oil , una rivista pubblicata dall’Eni, un analista, Paul Sullivan, ricorda che il Paese dipende dal petrolio per il 70-80% delle sue entrate e che la caduta del prezzo del barile sui mercati internazionali ha drasticamente diminuito le sue disponibilità finanziarie. Terminata la fase del benessere diffuso e garantito, il Paese sa oggi di essere afflitto da molte carenze e debolezze. La desalinizzazione dell’acqua marina (da cui dipende la sua agricoltura) consuma enormi quantità di petrolio che vengono sottratte all’esportazione. Ha un alto tasso di disoccupazione giovanile e, allo stesso tempo, un numero elevato di immigrati assunti per lavori servili e manuali. È circondata da conflitti, in cui è coinvolto direttamente o indirettamente, e ha un enorme bilancio militare. Qualsiasi cosa accada al prezzo del petrolio nei prossimi anni, l’esistenza di una nuova fonte energetica (il gas proveniente da rocce scistose) renderà le sue risorse petrolifere meno preziose e indispensabili.
Il passaggio di generazione (il nuovo re, al trono dal 2015, ha 79 anni, ma ha già designato i suoi successori) sembra avere avuto effetti positivi. Esiste una dirigenza che è consapevole dei limiti della ricchezza saudita ed è meno incline a pensare che il principale compito dello Stato sia quello di assicurare il benessere dei 5000 cugini di cui si compone la famiglia reale. Non è sorprendente, in questo quadro, che la classe dirigente saudita stia rivedendo il carnet degli amici e dei nemici chiedendosi se non sia utile fare qualche correzione.