venerdì 13 maggio 2016

Corriere 13.5.16
Politici avanti, cattolici cauti
E i vescovi sono contrari a una battaglia nelle urne
di P.Co.


ROMA  on Mario Fangio, parroco di Carovilli, in provincia di Isernia, ieri ha fatto rintoccare le campane a morto nel campanile della sua chiesa dell’Annunziata per celebrare il «funerale del matrimonio tradizionale», con manifesto funebre affisso sul portone principale: «Sono morti il matrimonio e la famiglia secondo natura tra uomo e donna. Una prece per chi ne è stata la causa».
Ma con ogni probabilità, l’esternazione di don Mario rimarrà isolata nella Chiesa italiana. Perché la Cei sembra chiaramente intenzionata a prendere le distanze dal referendum. Ieri, in mezzo a mille dichiarazioni dell’universo del centrodestra, che annunciavano il referendum abrogativo della legge Cirinnà, colpiva l’assenza di posizioni ufficiali della Cei.
Per avere conferma, basta analizzare l’editoriale di Francesco D’Agostino, giurista cattolico molto ascoltato dall’episcopato, apparso ieri su Avvenire , il quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana: «Le possibilità di fare resistenza da parte di chi lotta per la famiglia – che molti definiscono “tradizionale” e che noi, Carta vigente alla mano, preferiamo chiamare “costituzionale” – possono essere diverse e utilmente creative. Pare altrettanto utile, però, segnalare con franchezza che non appaiono tali la prospettiva – evocata da alcuni – di una battaglia referendaria per abolire totalmente la nuova legge né quella di fare appello all’obiezione di coscienza di quanti saranno chiamati a registrare (non a celebrare, come qualcuno pretenderebbe) le unioni civili previste e regolate dalla legge: non è questa la strada maestra lungo la quale sviluppare un impegno “contro” nessuno, “per” la famiglia e “per” un umanesimo che custodisce l’originalità della persona».
Chiarissimo: il referendum non è «una strada maestra», ma il contrario.
Per paradosso, una ragione si può trovare nella reazione all’annuncio del referendum da parte proprio di Monica Cirinnà, che ha dato il suo nome alla legge: «Io auspico che il referendum ci sia, perché noi lo vinceremo e sarà soprattutto il viatico per arrivare presto e bene all’uguaglianza piena. I cittadini italiani non si sono mai pronunciati per la discriminazione. Hanno sempre, anche attraverso l’istituto referendario, confermato delle grandi leggi di civiltà, è già accaduto».
Cirinnà evoca due fantasmi che ancora agitano la memoria del cattolicesimo italiano: quello sull’aborto, nel 1981 (gli italiani confermarono la legge del 1978 sull’interruzione volontaria di gravidanza) e soprattutto sul divorzio (maggio 1974, conferma della legge Baslini-Fortuna).
Mancano per ora dichiarazioni di guerra. Massimo Gandolfini, presidente del Comitato Difendiamo i Nostri Figli e promotore del Family Day, avverte: «Sul referendum abrogativo sulle unioni civili non diciamo al momento “sì” o “no” ma vogliamo pensarci e costruire bene la strategia da portare avanti. Successivamente daremo eventualmente un assenso definitivo». Un altro indizio ancora più chiaro. Gianluigi De Palo, presidente del Forum delle Associazioni familiari, dice: «Oggi, venerdì, nel nostro direttivo iniziamo una riflessione in questo senso, bisogna studiare bene la tempistica. Ma restiamo profondamente convinti che il tema centrale dei prossimi mesi sia la questione di un fisco più equo che consenta alle famiglie di vivere e non di sopravvivere». La dichiarazione, a rileggerla con attenzione, è trasparente: il vero problema, quello che affligge il popolo dei cattolici legati alla famiglia tradizionale, è la difficoltà di sposarsi, di fare figli, di sostenere dignitosamente una famiglia.
Improbabile che la chiesa italiana, sotto papa Francesco, si lasci coinvolgere in un referendum che, al di là di ogni intenzione etica dei singoli, si convocherebbe contro il governo Renzi. Per la Cei non è questo il punto: il vero problema, proprio nella linea di Bergoglio, è sostenere con fatti concreti la famiglia «tradizionale». Il pericolo sarebbe ripetere la sconfitta del 1974 con il referendum sul divorzio, che non coinvolse solo la linea politica della Democrazia Cristiana ma mise in grave difficoltà l’episcopato italiano e la stessa figura di Paolo VI.
E nessuno immagina oggi Bergoglio schierato di fatto contro il governo Renzi, perché di questo si tratterebbe.