mercoledì 11 maggio 2016

Corriere 11.5.16
I cambi di casacca e il sistema dei partiti
risponde Sergio Romano

Credo grave errore quello di non aver modificato l’art. 67 della Costituzione secondo cui «Ogni membro del Parlamento  rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato». I costituenti probabilmente sognavano ideali di vera libertà e di vera democrazia. Erano personaggi di grande levatura morale ed intellettuale e non pensavano certamente che l’art. 67 venisse massacrato da spregiudicati «onorevoli» che saltano (in questo «giro» ben oltre 300!) da una parte all’altra, mossi da interessi personali o di gruppi ristretti senza alcun rispetto nei confronti di coloro che hanno creduto nei loro programmi.
Non è tollerabile saltare, da perdenti, durante il percorso, sul carro del vincitore soprattutto quando questi sta per crollare.
Franco Bellini

Caro Bellini,
Quello che lei denuncia è un brutto spettacolo. Ma se continuassimo a imputarne la responsabilità all’articolo 67 e se pensassimo che la sua modifica basterebbe a risolvere il problema, commetteremmo un errore. I salti della quaglia e i cambi di casacca dipendono dalla scomparsa dei partiti tradizionali all’inizio degli anni Novanta. Nel vuoto lasciato dai processi di Tangentopoli, la parola partito, anzitutto, è scomparsa dalla ragione sociale di un certo numero di formazioni politiche: Forza Italia, Democratici di sinistra, Alleanza Nazionale, Margherita, Lega Nord, Rinnovamento Italiano, Italia dei Valori, Socialisti italiani, Verdi, il Sole che ride e, più recentemente, Fratelli d’Italia, Cinque Stelle, Nuovo centro democratico, Scelta Civica, Alleanza liberalpopolare. Lo zenith del paradosso fu toccato quando il progetto di Massimo D’Alema per il rinnovamento dei Democratici di sinistra venne definito «cosa»: tutto, pur di evitare la screditata parola «partito». Molte di queste formazioni sono state create da un uomo e hanno un volto ancor prima di avere un programma. Ma quel volto può scomparire dopo uno scandalo o una elezione perduta e lasciare un vuoto che altri cercheranno di riempire.
Queste schegge di un sistema esploso, queste amebe che si riproducono per scissione hanno più tattiche che strategie, più obiettivi contingenti che visioni di largo respiro. Nessuna di esse è in grado di pretendere dai suoi seguaci quella disciplina di gruppo che, bene o male, fu la caratteristica delle formazioni politiche sino alla fine della Prima Repubblica. In queste condizioni non è sorprendente che un parlamentare eletto nelle liste di un partito finisca la legislatura nelle file di un altro. Finché il sistema politico italiano non sarà riuscito a ricomporsi sulla base di quattro o cinque forze politiche, si aspetti, caro Bellini, altre giravolte.