Corriere 10.5.16
Un domino giudiziario con il governo destinato a inasprirsi
di Massimo Franco
La
vicenda di Banca Etruria e degli altri tre istituti di credito salvati a
novembre dal governo promette di rimanere in primo piano a lungo. Di
più: di diventare una delle tessere più pesanti del domino giudiziario
tra governo e magistratura. Quanto sta emergendo sul modo in cui veniva
consigliato ai risparmiatori l’acquisto di titoli a rischio tende i
rapporti tra Procure e Consob, la Commissione che controlla le società e
la Borsa. E si aggiunge alle inchieste in corso tra Lodi, Potenza e
Livorno, nelle quali sono implicati esponenti del Pd e del Movimento 5
stelle: una miscela che accentua lo scontro tra Matteo Renzi e Beppe
Grillo.
A neanche un mese dalle elezioni amministrative del 5
giugno, e a cinque dal referendum costituzionale di ottobre, tutto
questo è un catalizzatore di veleni e di polemiche. Mette le forze
politiche di fronte alla questione del malgoverno e di gruppi dirigenti
locali percepiti come inadeguati; e a un atteggiamento che deve tenere
insieme garantismo e rispetto delle indagini, evitando il doppio
standard tra alleati e avversari. Costringe il premier a riconoscere
l’esistenza di una «questione morale»; a chiedere ai suoi «uno sforzo
per non vergognarsi di quello che siamo», pur senza «sottacere i
problemi che abbiamo sul territorio».
È un’ammissione lodevole, in
parte obbligata per evitare che i contrasti con la minoranza del Pd
lievitino. Le poche parole dedicate ieri in Direzione da Renzi alle
Amministrative e la concentrazione sul referendum in autunno sono
significative. È come se il voto nelle grandi città a giugno fosse un
intermezzo, quasi un inciampo in vista della vera battaglia: quella
referendaria. Forse perché le previsioni non sono di una grande
vittoria, Renzi invita a non cadere nelle provocazioni e a non farsi
condizionare troppo dai sondaggi. E invoca una mobilitazione per
raccogliere firme sulle riforme, benché siano state raggiunte quelle
necessarie dai parlamentari del Pd.
«Ottobre è lontano», chiosa il
presidente del Senato, Pietro Grasso, alludendo al referendum. Ed è
come se dicesse che può ancora succedere di tutto. L’idea della
mobilitazione permanente, «anche sulle spiagge», chiesta da Renzi al
proprio partito, fa capire quanto forti siano le tensioni e le
resistenze al suo interno; e quanto cerchi di assicurarsi un sostegno
tuttora non unanime. Avverte la voglia di boicottarlo per liberarsi di
lui. Per paradosso, il suo avversario e ex premier Enrico Letta ha
ribadito che appoggerà con il suo «sì» le nuove norme costituzionali. Il
problema è che altri sono molto più silenziosi, se non ostili. E gli
attacchi renziani al «no» lasciano perplessi.
La ministra delle
Riforme, Maria Elena Boschi, associa gli avversari delle riforme agli
estremisti di destra di Casa Pound, benché a sostenere il «no» siano
anche l’Anpi e molti ex presidenti della Corte costituzionale. Il clima è
questo, purtroppo. E sullo sfondo rimane uno scontro tra governo e
magistratura anche in materia referendaria, per la volontà di alcuni
giudici di impegnarsi nella campagna. Ieri Renzi è tornato a chiedere
che si arrivi presto alle sentenze nei processi: «Non chiediamo la luna
ma la civiltà giuridica». È una delle critiche che la magistratura
rinvia alla politica, imputandole leggi per rallentare i processi.