Repubblica 6.4.16
“La Tempesta”, istruzioni per l’uso dell’opera di Shakespeare e dei segreti che nasconde
di Leonetta Bentivoglio
Nel
saggio appena uscito, Nadia Fusini offre una rilettura della commedia
del grande drammaturgo che si incrocia con l’autobiografia e la storia
dell’Inghilterra elisabettiana
Ci sono opere d’arte che ci
scovano, ci intrappolano, ci restituiscono la nostra immagine
sfondandone la superficie, la interrogano fino a decifrare la coscienza
di noi stessi. Certi capolavori si moltiplicano dentro di noi tracciando
una riconoscibilità che prescinde da tutto: tradizione, lingua,
esperienze, caratteristiche psicologiche e ambientali. Questo
rappresenta
La Tempesta per Nadia Fusini, scrittrice e studiosa
che ha dedicato a Shakespeare una parte essenziale delle proprie
indagini. Avviene ora che tramite il suo nuovo libro, Vivere nella
tempesta, appena uscito per Einaudi (pagg. 202, euro 18,50),
La
Tempesta di Shakespeare possa assumere la medesima funzione per ogni suo
lettore. Guidandolo in un mondo in grado di smuovere (tempestosamente)
le ragioni dell’essere, in senso intimo e oggettivo. Da questa commedia
tardiva di Shakespeare affiora una poesia “ultima” dell’esistenza che
può proiettarci nel cuore della vita intera. Fusini lo sa, e ha
attraversato sempre con devozione e accanimento tale consapevolezza, che
però qui, in Vivere nella tempesta, tocca col massimo della profondità e
del coinvolgimento personale (è già autrice di importanti lavori su
Shakespeare). Perché parlando di Prospero, Miranda e Caliban, della loro
isola spiritata e salvifica, del gruppo di naufraghi che vi trova
rifugio e iniziazione, questo libro parla anche di lei, dei suoi
trascorsi autobiografici, dell’isola che mitizzò durante l’infanzia, del
suo forte legame con il padre.
Al contempo parla di politica,
psicoanalisi, storia sociale dell’Inghilterra elisabettiana, imprese di
navigatori seicenteschi e accadimenti odierni. Parla di esuli che
sbarcano sulle nostre coste in cerca di salvezza e della cieca voglia di
potenza che domina tante menti. Parla del cosmo sterminato e
trasversale equivalente alla cultura umana, dove il viaggio è ritornante
e prismatico per reiterazioni, conferme e rimandi, capaci di riflettere
un sentire e un sapere che ci riguarda tutti, in ogni epoca e geografia
del pianeta. È l’idea della condivisibilità dell’arte l’aspetto più
emozionante di questo vorticoso saggio, che si trasforma anche in
romanzo e in diario, dove La Tempesta diventa specchio di tutte le
nostre tempeste.
Come una conchiglia erogatrice di sonorità
stratificate, il play shakespeariano può regalarci percorsi analogici e
metaforici a volte nati dai fatti storici. Vedi l’episodio di una nave,
la “Sea-Venture”, che nel 1609 è inghiottita dalle onde al largo delle
Bermuda e data per dispersa; si scoprirà in seguito che l’equipaggio è
sopravvissuto grazie all’approdo in terre strane e ignote. Nell’estro
del drammaturgo s’agitano sollecitazioni attinte dalla concretezza di
un’era colma di esplorazioni del Nuovo Mondo e di febbri
colonialistiche.
Ma le chiavi per introdursi nella Tempesta
trasfigurano la cronaca segnalando agganci etici, filosofici e
letterari. L’isola è il luogo altro, dove tutti si salvano e
l’immaginazione trionfa. È il test che mette alla prova le qualità
morali dei naufraghi, il confronto col dolore e la perdita, la
possibilità di accesso al “paese reale” di Simone Weil. È un campo da
cui traspare l’affinità tra Shakespeare e Montaigne nel gusto del
paradosso, nell’ironia, nel relativismo provocatorio e tollerante.
Capiamo a un tratto che l’isola è anche quella dell’Eneide, e che il
naufrago Ferdinand, di cui s’innamora Miranda, è un nuovo Odisseo o un
novello Enea. Caliban è il diverso, lo schiavo, il selvaggio da domare,
l’irrazionale da reprimere. Figlio della strega Sycorax, dà un volto
alla paura diffusa a Londra all’alba del capitalismo, simboleggiando il
proletariato aggressivo e generando fantasie di mostri e streghe.
Tutt’altro è la sua bramata “quasi-sorella” Miranda, limpida,
passionale, vicina alla natura. Col suo slancio di compassione e perenne
meraviglia, Miranda incarna un ennesimo tema della Tempesta, quello che
vede come azione sovrana dell’uomo la pietà. Il padre di Miranda è
Prospero, esule e mago come John Dee e Giordano Bruno, mentre Antonio è
il fratello- caino che gli ha tolto il regno.
D’altronde sembra
che chiunque stia sull’isola aspiri a comandare, ed è il potere un
ulteriore cardine dell’opera. Ma la strada della libertà avanza verso la
rinuncia realizzata da Prospero, che si sottrae al possesso del governo
e dona l’adorata figlia al nuovo sposo. Perché La Tempesta è
soprattutto rinascita dopo il naufragio.
IL LIBRO Vivere nella
tempesta di Nadia Fusini ( Einaudi) Il 21 aprile ( alle 21) a Roma al
Teatro Argentina letture di Anna Bonaiuto e Nicoletta Braschi