sabato 2 aprile 2016

Repubblica 2.4.16
Il fantasma del logoramento
di Stefano Folli

LA MOZIONE di sfiducia contro il governo sul caso Guidi non provocherà la caduta di Renzi. Servirà invece a rafforzare la leadership di Grillo e del suo movimento nel campo vasto ma frastagliato dell’opposizione.
I Cinque Stelle sono gli unici in grado di trarre qualche immediato vantaggio dall’iniziativa e infatti è subito esploso un contrasto con l’altro aspirante alla leadership, il leghista Salvini (altro che patto Carroccio-M5S in chiave anti-premier).
È una manovra politica già vista in passato. Con qualche differenza. La prima è che l’arcipelago del centrodestra d’opposizione non è mai stato così frammentato, causa il tramonto senza fine di Berlusconi e la mancanza di un nuovo federatore. E infatti i grillini, più che federare, si preoccupano di assorbire quel mondo, mescolandolo ai loro temi e ricavandone un’inedita ricetta nazional- populista in cui si aprono spazi originali per la seconda generazione, quella dei Di Maio e delle Raggi.
Ma la differenza maggiore riguarda il presidente del Consiglio. Il caso Guidi ha rivelato un principio di logoramento che rischia di essere molto pericoloso per le prospettive dell’esecutivo e del “renzismo” come progetto di riassetto politico a lungo termine. Per la verità era da qualche tempo che si avvertivano gli scricchiolii. Rispetto alla prima fase del suo governo, il premier-segretario è passato dalla condizione di giovane dinamico e innovatore, capace di mantenere un rapporto positivo con l’opinione pubblica, allo status di personaggio un po’ ingessato nel suo ruolo, tendente a ripetersi nei “tic” e negli schemi, interessato solo alla campagna elettorale permanente in cui sembra credere come a un mantra.
Questa crescente rigidità, solo in apparenza corretta da uno stile disinvolto all’americana, è figlia di problemi più grandi del previsto. E certo non è tutta colpa di Renzi. La ripresa economica promessa rimane ancora oggi poca cosa rispetto alle attese alimentate fin dell’estate del 2014, oltre un anno e mezzo fa. I dati sull’occupazione sono insoddisfacenti, nonostante le riforme. Altre priorità, dalla giustizia a una burocrazia più semplice, non hanno ancora cambiato la vita quotidiana degli italiani, in definitiva gli unici giudici. I lacci che soffocano il sistema economico sono stati tagliati solo in parte; il potere delle “lobby”, come dimostra proprio il caso Guidi, è ancora asfissiante; l’orizzonte di un regime di vera concorrenza è di là da venire.
C’è una crescente sfasatura fra il racconto pubblico renziano, intriso di ottimismo e volto — giustamente — a sollecitare le migliori energie del paese, e la realtà in cui vivono la maggior parte dei cittadini elettori. È quella che si può definire inerzia. L’inerzia di chi non ha saputo o voluto cambiare passo in questi due anni e ha continuato a usare le stesse formule comunicative ignorando che lo scenario intorno stava cambiando: non necessariamente in meglio. Sullo sfondo ci sono le angosce collettive non prevedibili: la paura del terrorismo, le incognite sulle nuove ondate di immigrati, la crisi in Libia e la sensazione diffusa che l’Italia non potrà restarne estranea.Certo, Renzi è un combattente e ha dimostrato in più occasioni la sua notevole personalità. E conosciamo l’argomento che viene usato a mo’ di scudo: non esistono autentiche alternative a questa maggioranza, al governo e all’attuale premier che non siano avventure demagogiche. Ma questo punto, pur vero, non giustifica l’inerzia di chi ha smesso di rinnovarsi, al di là delle tante parole, e di adeguare giorno per giorno il messaggio rivolto agli italiani. Se a ciò si aggiunge l’indifferenza, quando non l’ironia, verso quel che resta dei partiti politici, a cominciare dal suo; nonché il fastidio nemmeno dissimulato verso gli ostacoli lungo il percorso, quale il referendum sulle trivelle o le amministrative di giugno, si capiscono le radici del logoramento.
La vicenda Guidi ha messo in luce la distanza fra il premier che fa jogging nei parchi di Chicago e il piccolo cabotaggio di un governo che ha bisogno di sentire il suo timoniere e non sempre né avverte la presenza. La tendenza all’affarismo, quella mancanza di trasparenza che si avverte nei palazzi romani, è un virus che va debellato al più presto con scelte idonee. È inutile evocare il sindaco di Quarto per mettere in difficoltà i Cinque Stelle: la sproporzione fra i due episodi balza agli occhi. La spinta anti-politica Renzi può contenerla come fece all’inizio del suo mandato: governando con efficacia, circondandosi di una classe dirigente all’altezza dei tempi difficili in cui viviamo, riducendo la tentazione dell’enfasi e della retorica a favore di un discorso-verità, tale da stabilire una nuova corrente di fiducia fra il leader e i cittadini.
Sotto questo aspetto, la scelta del successore di Federica Guidi sarà un segnale di rilievo. Il premier deve dimostrare che l’inerzia e il logoramento non vanno a braccetto nel frenare e impantanare il governo. Può risalire la china e riguadagnare le simpatie di un’opinione pubblica che oggi lo guarda con qualche perplessità. Ma gli errori di sottovalutazione, il nervosismo, una certa inclinazione all’arroganza sono cattivi consiglieri. Al contrario, non piegarsi alla manovra politica dell’opposizione e difendere la dignità dell’esecutivo e dei ministri, in primo luogo la Boschi, esprime la volontà di battersi senza debolezze. Ma stavolta non basta vincere lo scontro parlamentare per uscire dalla palude e riprendere il cammino come se nulla fosse successo. Perché molte cose sono accadute in questi mesi e non tutte positive.