Repubblica 27.4.16
Come eravamo 150mila anni fa ricostruito l’Uomo di Altamura
Il teschio dell’ominide di Neanderthal fu scoperto nel ’93 Ora il volto e il corpo ricompaiono grazie alle stampanti 3D
di Luca Fraioli
«Ce
ne avete messo di tempo». Braccia dietro la schiena, gambe divaricate:
la tipica posizione di chi aspetta. E anche l’espressione del viso
sembra volerci rimproverare bonariamente per esserci presentati in
ritardo all’appuntamento (con la preistoria). L’Uomo di Altamura, in
effetti, di pazienza ne ha avuta molta. Da 150mila anni giace in una
grotta, dove, probabilmente, cadde e rimase intrappolato fino a morire
di inedia. Nel 1993 un gruppo di speleologi del Cars (il gruppo
speleologico altamurano) esplorò le gallerie sotterranee e scoprì quel
cranio quasi inglobato dal calcare, ma da allora si è discusso a lungo,
senza decidere, se rimuovere lo scheletro o lasciarlo nel sottosuolo.
Ora però quell’Homo arcaico è riuscito a tornare alla luce, anche se
solo virtualmente: una sua riproduzione a grandezza naturale è stata
presentata ieri dal Comune di Altamura. Corpo tozzo e robusto, alto
circa un metro e sessanta, naso pronunciato e fronte sfuggente, ecco
come appare il più antico degli italiani di cui si conosca la
fisionomia. La ricostruzione è il frutto della collaborazione tra
l’Università La Sapienza di Roma, l’Università di Firenze, la
Sovrintendenza archeologica della Puglia, gli atenei di Roma Tre e di
New Castle, in Australia. «I risultati scientifici più importanti»
spiega Giorgio Manzi, direttore del Laboratorio di paleoantropologia
della Sapienza, «li abbiamo ottenuti datando lo scheletro e ricostruendo
il cranio in tre dimensioni». Un’operazione quasi “endoscopica”: chi si
cala nella grotta di Lamalunga, a pochi chilometri da Altamura, può
vedere solo la parte anteriore del cranio, così per capire cosa c’è
dietro sono stati usati scanner laser montati su bracci meccanici. I
risultati delle scansioni si sono ricomposti sui computer dei
paleontologi e materializzati grazie a una stampante 3D, dando forma a
un cranio molto arcaico. Poi, sfruttando il decadimento dell’uranio, si è
stabilito che l’Uomo di Altamura deve essere rimasto intrappolato circa
150mila anni fa. Mancava l’ultimo tassello e lo ha fornito il codice
genetico. «Quei resti appartengono sicuramente a un uomo di Neanderthal»
conferma David Caramelli, professore di antropologia molecolare a
Firenze. «Il suo Dna mitocondriale presenta mutazioni tipche dell’Homo
neanderthalensis e che non si riscontrano in noi Sapiens».
Dunque
un Nearderthal vissuto nel Paleolitico, alla fine della penultima
glaciazione, quando l’attuale Puglia era abitata da elefanti,
ippopotami, rinoceronti e cervi dalle grandi corna. Ma non dal nostro
progenitore diretto, l’Homo sapiens che allora muoveva i primi passi
nelle savane africane. «Sarebbe arrivato in Europa 100mila anni dopo»
spiega Manzi. «Non sappiamo bene quali furono le interazioni tra le due
forme di Homo. Di sicuro i Sapiens, con il loro grande cervello
contenuto in un cranio rotondo, ebbero la meglio».
Gli studiosi
hanno fornito la ricostruzione 3D del cranio, ma anche le misure delle
ossa corporee incastrate nella roccia, ai due fratelli olandesi Adrie e
Alfons Kennis, tra i maggiori esperti mondiali di ricostruzioni
artistiche, che hanno rivestito di muscoli, pelle, peli quello scheletro
virtuale. Il loro lavoro è destinato a diventare una grande attrazione
all’interno del Museo archeologico nazionale di Altamura. «È
emozionante» ammette Manzi, «dirà al pubblico più di quanto potrebbero
dire tutti i miei studi». L’Uomo della grotta di Lamalunga dopo 150mila
anni, finalmente, sorride.