Repubblica 21.4.16
Il crinale dell’Europa
di Andrea Manzella
SI
È fatto stretto il crinale su cui cammina l’Europa, fra aggregazione e
frammentazione. Spaventa l’elenco delle tensioni che mettono a rischio
la continuità stessa dell’Unione, la sua identità come “insieme”.
La
possibilità che si perda, con il Regno Unito, la chiave della sua
proiezione atlantica. I profughi che destabilizzano il governo
territoriale di Stati e regioni. Il referendum “consultivo” olandese che
rifiuta il segmento di politica esterna faticosamente costruito per
dare all’Ucraina una sponda contro il revanscismo russo. La Banca
centrale, “sola”, con le (contestate) armi “non convenzionali” di fronte
alle tenaci “convenzioni” di una governance economica senza respiro.
Tuttavia, ognuno di questi nodi contiene anche, accanto al pericolo di
irreversibile rottura, una alternativa di unità.
Prendiamo Brexit.
L’alternativa dell’unità è già sul tavolo: è nella coesistenza delle
due aree monetarie. Da un lato, una stretta di governo nell’Eurozona con
«misure per garantire la sicurezza di un futuro a lungo termine
dell’euro». Dall’altro lato, «un meccanismo di salvaguardia dei
legittimi interessi degli Stati non euro». Sono insospettabili formule
di parte britannica.
Il dilemma rottura/unità si propone anche per
il dramma dei profughi. Riabbassare le sbarre confinarie tra gli Stati
membri — dimenticare Schengen — significa rompere il tessuto connettivo
dell’Unione. Ma ricorre anche qui l’alternativa dell’unità. È nella
“fondazione”, finalmente, di una frontiera comune (nel senso di
vigilanza condivisa del confine). Paradossalmente, la crisi ha prodotto
la presa di coscienza della frontiera come segno di unità “statuale” e
di legittimazione sociale. Il migrante, sulla soglia “esterna”, ha in
testa un itinerario successivo “interno” nell’Unione. Tenta di
appropriarsi di una elementare libertà degli europei: la “libertà di
cercare lavoro, di lavorare” (come dice la Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione). A chi passa legittimamente il confine viene,
in effetti, concesso un passaporto di “cittadinanza sociale”. Coscienza
di frontiera significa allora anche il riconoscimento di una maggiore
forma di integrazione nell’Unione.
Analogo ultimatum rottura/
unità propone il risultato del referendum olandese. A parte le
riflessioni di politica internazionale, la rottura è nella stessa
abnormità della prevalenza di uno solo contro il consenso degli altri
ventisette Stati. Il meccanismo decisionale dell’Unione è bloccato nella
trappola di una doppia unanimità. All’unanimità nel modo di decidere
insieme dei governi, si aggiunge la ricerca di una seconda unanimità.
Quella dei decisori sparpagliati nei ventotto Stati. Basta un solo
referendum, un solo Parlamento, un solo tribunale costituzionale, per
romperla. Certo, la storia dell’Unione è in questo senso. E, infatti, di
alcuni rifiuti di minoranza subiamo ancora i danni. Ma ora si sono
toccati i limiti dell’assurdo e della praticabilità. Nelle decisioni di
tutti che riguardano tutti, anche la sovranità nazionale di controllo
dovrebbe essere esercitata in condivisione e nel confronto con i poteri
di garanzia di tutti gli altri Stati membri. Ci sono già modelli di
procedure di garanzia in comune: la iniziativa popolare cittadina; il
“dialogo” fra tribunali nazionali e Corte di giustizia; le “conferenze”
permanenti di cooperazione interparlamentare.
Naturalmente, è poi
nell’Eurozona, cioè nel cuore dell’Unione, il più lacerante dilemma tra
rottura e unità. La rottura, ormai insopportabile, è quella tra politica
monetaria e politica economica. È il vuoto che Mario Draghi ha
denunciato con i suoi pesantissimi interrogativi «sulla direzione in cui
andrà l’Europa e sulla sua capacità di tenuta di fronte a nuovi shock».
Ma la scelta per l’unità — con la creazione di un pilastro economico
dell’Eurozona — non può consistere solo in nuove regole e istituzioni
(come il necessario ministro delle Finanze, soggetto-gestore di una
struttura di Tesoro). Occorre anche, con uno scossone politico, che
regole e istituzioni siano stabilizzate attraverso un mutamento
nell’ordinamento giuridico dell’Eurozona. Con il passaggio, cioè, da un
sistema basato sul coordinamento a un sistema basato sulla cooperazione
(nel significato dei Trattati).
Solo con questo cambio — che
faccia dell’Eurozona una entità unitaria — saranno possibili reali
innovazioni istituzionali di governo della politica economica. Sarà,
cioè, legittimamente praticabile, nell’impotenza dei singoli Stati,
quella direzione europea di un programma di investimenti pubblici che
appare oggi l’unica maniera per uscire dalla stagnazione. Affidare il
timone dello sviluppo a un’autorità dell’Unione può garantire i forti
(che lamentano i tassi “punitivi”) e i deboli (che lamentano
l’impossibilità di crescita). Ed è l’unica condivisione di sovranità che
abbia senso tra tante parole vane.
In ogni caso, non esistono
soluzioni facili alle tensioni nell’Unione, le scelte per conservare
continuità e unità devono perciò essere commisurate alla gravità dei
rischi che si stanno correndo.