Repubblica 20.4.16
“Il Patriarca coprì gli abusi” Appello al Vaticano delle donne libanesi
Il capo della Chiesa d’Oriente accusato di proteggere un monsignore già giudicato colpevole
Le vittime attaccano: “Ci trattano come delle prostitute”. Una di loro abita oggi a Torino
La Segreteria di Stato indaga. Il dossier nelle mani del Papa
di Marco Ansaldo
CITTÀ
DEL VATICANO. Le ragazze abusate sessualmente lo chiamavano “l’Orco”.
In Libano le aveva sottomesse per tre lunghi anni. Ma secondo il suo
superiore, il Patriarca maronita Bechara Rai, la vittima è lui:
monsignor Mansour Labaki, fondatore in Libano e in Francia di due centri
per l’accoglienza dei bambini. Una trama che adesso tocca l’Italia:
perché una delle donne coinvolte, decisa a uscire allo scoperto, abita a
Torino.
C’è un dossier scottante sul tavolo di Papa Francesco. E
il putiferio che sta per deflagrare rischia di contrapporre i cattolici
della Chiesa d’Oriente con Roma, in un nuovo, delicato caso di
pedofilia. Già il 23 aprile del 2012 il Tribunale ecclesiastico
dell’arcivescovado di Parigi aveva condannato monsignor Labaki,
riconoscendolo colpevole di abusi sessuali. E l’anno dopo, a giugno, in
Vaticano la Congregazione per la Dottrina della Fede aveva confermato la
sentenza, rifiutando il ricorso fatto dal sacerdote. Ma adesso è il
Patriarca libanese a ribellarsi, parlando di «campagna mirata contro
monsignor Labaki con molte accuse false e menzognere». Una critica dura,
e già si parla di un’inchiesta canonica nella Segreteria di Stato
vaticana nei confronti del Patriarca per le dichiarazioni pubbliche
fatte lo scorso 18 marzo.
I fatti risalgono al 1984. Le ragazze
ripetutamente abusate da Labaki, già vicario apostolico della Chiesa di
Beirut, furono tre. Accertate. All’epoca tutte minorenni. Le 17
testimonianze parlano però di un numero superiore di bambine e giovani
donne coinvolte. Labaki fu privato di «tutti gli uffici ecclesiastici»,
compresa la «facoltà di confessare », diffidato dal «celebrare i
sacramenti » in pubblico, e obbligato a «una vita di preghiera e
penitenza in una comunità religiosa ».
Patrocinato però da uno dei
più rinomati avvocati, Antoine Akl, nel maggio 2014 Labaki si è
ribellato citando per diffamazione non solo le vittime, ma i due
rappresentanti del Tribunale ecclesiastico che lo aveva condannato (uno
dei quali è monsignor Luis Ladaria, segretario della Congregazione
vaticana), colpevoli a suo dire di aver manipolato le vittime. La
documentazione portata in tribunale, come riporta ripercorrendo bene il
caso il sito di informazione specializzato sul mondo cattolico Adista,
«era però – scrive Eletta Cucuzza – frutto del furto, avvenuto con
l’ausilio di esperti hacker, delle circa 2mila e-mail intercorse tra le
autorità ecclesiastiche citate e le vittime, con gli indirizzi
praticamente di quasi tutte le persone coinvolte». E i nomi sono usciti
ora sui giornali.
Lo scorso 29 febbraio il Patriarca libanese è
andato dal Papa consegnando un fascicolo. Con la richiesta al
Sant’Uffizio di revisione della sentenza. In gioco, è chiaro, c’è la
reputazione della Chiesa maronita del Libano. Le ragazze abusate allora,
però, non ci stanno a passare per reiette e sono furibonde. Pretendono
giustizia piena dal Vaticano, affermano di avere passato una vita da
vittime (ora hanno più di 40 anni), e dicono che l’Orco non mostra alcun
segno di pentimento, anzi. Una delle donne abusate, residente a Torino,
dice a Repubblica: «Ci trattano come fossimo delle prostitute.
Rifiutiamo di essere una moneta di scambio fra la Chiesa d’Oriente e
quella d’Occidente. Chiediamo alla Santa Sede di riabilitarci in modo
pubblico». Lunedì sera il caso è esploso alla tv libanese.