venerdì 15 aprile 2016

Repubblica 15.4.16
Come combattere la povertà
di Chiara Saraceno

Secondo gli ultimi dati Eurostat, l’Italia è il paese Ue dove non solo c’è il tasso di deprivazione materiale grave più elevato, ma anche in cui è rimasto pressoché stabile nel 2015 rispetto al 2014, laddove nella maggioranza dei paesi è diminuito. Da un’analisi dell’Istituto degli Innocenti dell’Unicef sui paesi ricchi, inoltre, l’Italia è al 32esimo posto su 35 paesi Ocse per livello di benessere dei bambini, misurato dal grado di disuguaglianza relativa rispetto al reddito disponibile procapite, la salute, l’alimentazione, la capacità di lettura e comprensione logico-matematica.
La delega sulle norme relative al contrasto della povertà, al riordino delle prestazioni e al sistema degli interventi e dei servizi sociali, collegata alla legge di stabilità 2016 e attualmente in discussione nelle commissioni Affari sociali e Lavoro della Camera è quindi quanto mai opportuna e urgente. Su di essa dovrebbero concentrarsi le risorse disponibili, senza sprecarle in modo spesso inefficiente in misure categoriali.
Secondo i calcoli dell’Istituto di Ricerca sociale di Milano e del Capp di Modena, la spesa riconducibile a trasferimenti assistenziali in Italia è elevata, 72 miliardi circa, per lo più gestiti dall’Inps, in quanto la parte del leone è costituita dalle pensioni di invalidità, sociali e integrate al minimo. Ma il 44 per cento delle famiglie in povertà assoluta non riceve nessun sostegno economico: non assegni al nucleo famigliare, non assegno per il terzo figlio, non gli 80 euro per lavoratori dipendenti. Viceversa, molti/e beneficiari di pensioni integrate al minimo vivono in famiglie assolutamente non povere, come hanno messo in evidenza molte analisi, sia dell’Inps sia del ministero del Lavoro, sia di istituti di ricerca indipendenti. Lo stesso vale per i beneficiari degli 80 euro per i lavoratori dipendenti.
Non è quindi il caso di aumentare la confusione e frammentazione, come invece ha fatto il presidente del Consiglio quando ha incautamente promesso «80 euro alle pensioni minime». È vero che la delega nella sua versione attualmente in discussione esclude per il momento dal processo di razionalizzazione le pensioni sociali, quelle di invalidità e quelle integrate al minimo, in attesa di rivedere l’insieme dei servizi per la fragilità e disabilità. Si tratta di una decisione discutibile, visto che proprio questi istituti assorbono molte risorse senza essere sempre davvero redistributivi, al contrario. Si dovrebbe almeno evitare di impegnare altre risorse (stimate da esperti su lavoce. info in un importo dai due ai sei miliardi circa, a seconda di come verrà definita la platea dei beneficiari) in istituti che non sembrano funzionare come dovrebbero, lasciando molti anziani effettivamente in povertà mentre si redistribuisce a favore di chi povero non è.
Aggiungo che le risorse — un miliardo e mezzo — che il governo intende mettere a regime sul piatto del contrasto alla povertà, e in particolare di una misura di sostegno al reddito delle famiglie in condizioni di povertà assoluta, sono molto inferiori e pari solo a meno di un terzo di quanto sarebbe necessario per coinvolgerle tutte.
C’è una palese contraddizione tra l’affermazione, contenuta nella delega, che risorse aggiuntive potranno provenire solo da una razionalizzazione della spesa attuale e l’impegno a spendere in modo sostanzioso al di fuori di quella delega per trasferimenti categoriali — ieri gli 80 euro per i lavoratori dipendenti e per i neonati/ neoadottati nel triennio 2015-2017, oggi le pensioni minime, per non parlare dell’enorme trasferimento ai più abbienti operato con la cancellazione della Tasi sulla prima casa. A becco asciutto rimarranno ancora una volta i giovani, gli adulti non anziani e i minori, che costituiscono una grossa fetta dei poveri assoluti. Apparentemente, solo nei loro confronti vale il principio del vincolo di bilancio. Un vincolo che diventa sempre più rigido man mano che il bilancio viene eroso da decisioni che poco o nulla hanno a che fare sia con la razionalizzazione sia con l’equità.
Sarebbe molto meglio imboccare decisamente la strada della razionalizzazione della spesa con criteri universalistici, al fine non di effettuare risparmi, ma di renderla più efficace e più equa, perché basata non sulla individuazione di categorie, ma sui principi costituzionalmente sanciti del diritto ad una vita libera e dignitosa e dell’uguaglianza tra cittadini. Ne trarrebbero vantaggio anche gli anziani poveri.