Repubblica 15.4.16
Le parole di Napolitano sono un sostegno a Palazzo Chigi
Sulle trivelle si gioca in anticipo la grande partita d’autunno
Il referendum sulla riforma del Senato costituirà per Renzi il match della vita
Ma il premier sbaglia a trasformarlo in un plebiscito su se stesso
di Stefano Folli
NESSUNA
figura della vita politica accende passioni e polemiche come Giorgio
Napolitano. Segno che l’ex capo dello Stato continua a occupare uno
spazio centrale in un dibattito pubblico spesso carente di argomenti e
di protagonisti. Nell’intervista a “Repubblica” ha fatto scalpore la
difesa dell’astensione nel referendum di domenica sulle trivelle. In
realtà non c’è molto di cui stupirsi. Chi polemizza lo fa con un intento
ben preciso: scaldare la platea degli elettori e spingerli al voto,
visto che al momento solo gli ottimisti prevedono che il quorum del 50
per cento sarà raggiunto.
Napolitano è ovviamente libero di
esprimersi in favore dell’astensione, un’opzione prevista dai
costituenti nel momento in cui stabilirono una soglia minima per rendere
valido il referendum. Quindi il “dovere” civico di votare, cui lo
stesso Napolitano richiamava dal Quirinale gli italiani, riguarda semmai
le consultazioni politiche e tocca il tasto delicato della
partecipazione. Sul referendum ogni cittadino è libero di fare la sua
scelta o anche di non farne nessuna, se ritiene il quesito troppo
astruso ovvero tale da non potersi ridurre a un “sì” o a un “no”. Oppure
semplicemente perché giudica che il fallimento del quorum sia il modo
più spiccio per archiviare la questione di merito.
In ogni caso,
un ex presidente della Repubblica dispone di una libertà di iniziativa
ben superiore a quella delle autorità istituzionali in carica. Sarebbe
strano, ad esempio, se Mattarella, Grasso e Laura Boldrini restassero
tutti e tre a casa domenica prossima. Il messaggio agli italiani
risulterebbe quanto meno ambiguo. E infatti il vertice delle istituzioni
andrà a votare anche per rispetto dell’istituto referendario. Lo
stesso, come sappiamo, farà il neo presidente della Corte
Costituzionale. Al contrario, la campagna pro-astensione del premier
Renzi, cui le parole di Napolitano hanno offerto un valido sostegno, ha
sollevato un vespaio sia per i toni usati (“una bufala”) sia per il
ruolo da lui ricoperto alla guida dell’esecutivo, ruolo che è insieme
politico e istituzionale.
RENZI non si limita a restare a casa, ma
svolge attiva campagna mediatica a favore dell’astensione. Il che
sembra a qualcuno un po’ eccessivo, e quindi inopportuno, per ragioni
politiche prima ancora che istituzionali. Il presidente del Consiglio è
anche il segretario del Pd. E in quel partito, sia a Roma sia nelle
regioni, si annidano numerosi sostenitori della tesi “No triv”. Anzi, ci
sono alcuni fra gli stessi promotori del referendum, quasi tutti
avversari di Renzi. È chiaro che sotto tale profilo un’accanita campagna
volta a incoraggiare il non-raggiungimento del quorum diventa una
battaglia contro coloro che usano il referendum come arma impropria
contro Palazzo Chigi. Aiutare Renzi nel referendum, significa sostenerlo
rispetto ai suoi nemici interni. E di questo Napolitano è ben
consapevole.
Il premier sa che la vittoria, se così vogliamo
chiamarla, è dietro l’angolo: sempre che domenica i partecipanti al voto
rimangano al di sotto del 50 per cento. Il che significa che egli potrà
menar vanto di un’affermazione a buon mercato. La leggerà come un
anticipo del grande scontro d’autunno, il referendum sulla riforma del
Senato. In realtà non c’è parentela fra i due passaggi, salvo che su un
punto: in entrambi sono in gioco la credibilità e il peso del presidente
del Consiglio. Domenica è una partita in apparenza facile, in autunno
sarà il “match” della vita.
Ecco perché, volendo citare ancora una
volta il presidente emerito, Renzi è invitato a non personalizzare il
referendum costituzionale e a sfuggire alla tentazione di trasformarlo
in un plebiscito su se stesso. Ci sono troppi rischi in un’operazione
siffatta. Il giovane politico di Rignano non è ovviamente De Gaulle, ma
anche il generale, che amava ricorrere ai plebisciti, alla fine
soccombette avendo presunto troppo. Non si era accorto che i tempi erano
cambiati e che i francesi non lo amavano più.